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IL PERCORSO TEORICO ED ESPERIENZIALE DI VINCENZO MASINI

CURRICULUM SCIENTIFICO E PROFESSIONALE DI VINCENZO MASINI

SCHEDA SINTETICA SU VINCENZO MASINI

 

 

 

IL PERCORSO TEORICO ED ESPERIENZIALE DI VINCENZO MASINI

Lo sfondo teorico della mia ricerca sulle proprietà e sulla modulazione delle relazioni è strettamente legato al mio percorso di crescita personale è legato agli operatori, educatori, studiosi e ricercatori che mi hanno formato umanamente e teoricamente. Molti di questi sono stati gli artigiani della mia educazione e formazione.

L’esperienza da cui deriva tutto il costrutto dell’artigianato educativo e della teoria delle relazioni evolute proviene da­gli appunti di venticinque anni di lavoro con i gruppi di incontro, con le famiglie, nelle scuole e, soprattutto, nelle comunità e nelle case famiglia. Dalle storie di vita di giova­ni ed adulti, con cui ho condiviso l’esperienza del recupero, della prevenzione, della lotta per la liberazione dalle dipendenze, ho tratto le indicazioni educative più efficaci per ogni tipologia di disagio incontrata.

Preferisco presentare il percorso di ricerca e di operatività connesso a quella della mia formazione professionale ed umana, suddiviso nei diversi passaggi che lo hanno caratterizzato.

 

L’inizio di questo cammino si colloca nel periodo della più grande crisi della pedagogia; negli anni sessanta scompaiono i padri ed i maestri e viene a mancare la disponibilità reciproca dei soggetti dell’educazione (giovani ed adulti) ad interagire nella azione comunicativa. Gli educatori vengono visti come precettori che agiscono per auto-valorizzarsi ed auto-affermarsi. L’analisi critica alla società si fa intransigen­te e produce tensioni distruttive, azioni diseducative, ideologiche, moralistiche e di pro­paganda. Nella sociologia delle istituzioni, delle classi sociali e della divisione sociale del lavoro, che studiavo in quell’epoca, mi appariva con evidenza la violenza psicolo­gica e fisica di molti atteggiamenti presenti nella vita quotidiana: la coercizione fina­lizzata alla assunzione di ruoli nei bambini, le indicazioni normative sulle posizioni che dovevano assumere nei confronti di genitori, maestri e professori, ecc., una prassi che non era in grado di rispondere alla domanda di senso che proveniva dalla genera­zione nata nel dopoguerra. La spirale della contestazione, che aveva avvolto le agen­zie educative e la ricerca pedagogica in quegli anni (come efficacemente e sintetica­mente spiega Carlo Nanni nel volume di studi dedicato a Pietro Braido), restituiva molto poco dal punto di vista formativo e teneva la ricerca dentro gli ambiti dell’analisi dei sistemi sociali e del superamento delle loro contraddizioni interne. Sono debitore a Francesco Alberoni, mio professore all’Università di Trento, di una visione più larga e creativa del concetto di “movimento”: alla rigidità della ripetizione istituzionale egli ha contrapposto l’innesco di movimenti (non necessariamente conflittuali e non ne­cessariamente di massa: per Alberoni anche l’innamoramento è un “movimento col­lettivo a due”) che mettono in moto il percorso della storia, individuale e collettivo. Il movimento mi appariva come il luogo della formazione dei valori e della crescita per­sonale ed educativa, molto meno arido e schematico delle istituzioni. I Training Groups in cui feci il mio tirocinio professionale negli anni settanta, all’interno delle aziende e delle fabbriche del Nord, costituivano una speranza anche per il cambiamento del modo di essere e di vivere la fabbrica da parte delle maestranze. Non riuscivo comunque a trovare spiegazioni della difficoltà di cambiamento in molti soggetti: per quanto coin­volti in processi di statu nascenti conservavano rigidità al cambiamento e difendeva­no con forza il potere (anche il più piccolo e misero) connesso al loro ruolo sociale. Le mie letture di allora (Sartre, Marcuse, Merleau Ponty, Focault,...) mi conducevano a pensare che ciò dipendesse dalla forma e dall’organizzazione dei diversi sottosistemi sociali: la causa delle inefficienze e delle distorsioni era l’automatismo della loro ripro­duzione che condizionava gli individui alla unica dimensione di automi.

 

Invitato come professore a contratto all’Università di Palermo dal Prof. Giusep­pe Pavone, ho lavorato con lui per otto anni nell’impegnativa analisi di sociologia del­l’ambiente e dell’organizzazione dei servizi nella città siciliana. Lì ho scoperto che le istituzioni erano governate da individui, che agivano nel senso del cambiamento o nel senso della conservazione, e che i movimenti trasversali alle istituzioni non erano ne­cessariamente positivi in sé come credevo. Lo studio della penetrazione mafiosa nella amministrazione pubblica, con la sua rete di clientele appoggiata alle diverse famiglie, mi faceva apparire una società, al contempo, arcaica e supermoderna. In essa il potere di alcuni individui (e gruppi di individui) non si modificava nel tempo. Semplicemen­te cambiava pelle e forma. Per la prima volta nel libro Sociologia di Sagunto (Angeli, 1984) ho utilizzato il termine avaro per definire un comportamento calcolatore e op­portunista, attuato sia all’interno delle strutture istituzionali (la sindrome della defor­mazione professionale di Warnotte, la psicosi dell’occupazione di Dewey o l’incapa­cità addestrata di Veblen), sia all’interno delle diagonali dei gruppi opachi alla visibi­lità sociale che si formano nelle burocrazie chiuse per aprire contatti negoziali con l’am­biente. Lo studio dei sistemi di clientela e corruzione delle famiglie mafiose a Paler­mo, che mi consentiva di anticipare i meccanismi più diffusi del potere, venuti poi alla ribalta con tangentopoli, mi fece cadere le idealità residue sulle possibili trasforma­zioni dei sistemi. Non era un problema di organizzazione più efficiente e, nemmeno un problema di reti comunicative più appropriate, o di controllo più efficace. Almeno non era solo quello il problema. All’interno dei sistemi il cambiamento virtuoso mi appariva bloccato da individui mossi da interessi totalmente egoistici. Tali individui si esprimevano con una personalità ed un uno stile di vita opportunistico, accattivante (se utile), calcolatore, difensivo e diffidente, sia all’interno delle strutture ove li incon­travo, sia nelle loro relazioni primarie di vita quotidiana.

Lo studio del potere della mafia siciliana mi ripropose la questione del perché del­l’aggressività e della violenza degli agguati e delle stragi consumate in quegli anni. Avevo visto negli anni settanta la trasformazione di movimenti pacifisti in movimenti addirittura insurrezionali, vedevo in Sicilia la costante rigenerazione della violenza bru­tale, anche all’interno di “famiglie” fino al giorno prima unite e compatte nelle loro solidarietà tribali.

Il processo di differenziazione e di innesco di conflitto nella famiglia mafiosa, quan­do tal famiglia-impresa giunge a superare la soglia numerica di 70/80 membri (come spiegava Pino Arlacchi), fu il primo spunto per cominciare a pensare in termini di per­sonalità collettive confliggenti, la cui mentalità prepara la violenza. La frustrazione delle aspettative, la mancata remunerazione personale, la spartizione del bottino con­siderata diseguale (la divisione del molto conduce sempre al molto poco) e la perce­zione di ostacoli nel raggiungimento dei personali obiettivi (la difesa e l’espansione del sé come vedremo) stavano alla base dell’aggressività. Il processo del suo scate­narsi e deflagrare improvviso mi sarà spiegato, alcuni anni dopo, dal prof. Milanesi.

 

Giancarlo Milanesi mi invitò come docente all’Università Pontificia Salesiana negli anni ottanta mentre sviluppava la sua ricerca sulla condizione giovanile. E’ suo il merito di aver coniato il termine ruminante per definire il processo che conduce alla manife­stazione della aggressività, sottraendolo al vocabolario della psicologia delle osses­sioni (Rachman, 1971). Le ruminazioni sono pensieri ripetitivi e intrusivi che hanno per oggetto far del male a qualcuno, essere causa di disgrazia, demolire e distruggere oggetti e persone: il processo di ruminazione fa crescere la propensione all’azione fin a renderla possibile ed effettiva. Milanesi, sulla base delle teorie della frustrazione ­aggressione del gruppo di Yale, e di Dollard (1939) in particolare, mi spiegò come la ruminazione poteva diventare il nucleo del processo depressivo quando l’aggressività non era più rivolta verso gli altri ma verso se stessi.

Non occorreva scomodare l’etologia per comprendere come l’aggressività e le sue conseguenze fossero un tratto tipicamente umano e non biologico (gli animali non spe­rimentano emozioni di aggressività). Non c’era nemmeno bisogno di ricorrere alle teorie della devianza di impostazione genetica, relazionale o sociologica per compren­dere il perché, pur comune a tutti gli uomini, l’aggressività sia più tipica di taluni in­dividui nutriti di ruminazioni, incrementali fino alla dirompenza, della carica interna. Accrescimento della attivazione interna (carica) e motivazione all’azione potevano però condurre ad esisti opposti: l’impegno entusiasmante o l’aggressività violenta. I loro tratti comuni giustificavano la trasmutazione dell’uno nell’altra: come quando l’entusiasmo del tifo sportivo si perverte nella violenza degli ultrà. L’educatore deve essere capace di assorbire l’aggressività dell’educando e di riorientarla positivamente. La rabbia, infatti, può essere convertita in energia, impegno lavorativo ed entusiasmo, se i valori proposti dall’educatore riescono a produrre tale conversione.

 

L’incontro con Don Pierino Gelmini, fondatore delle Comunità Incontro, una delle persone più dotate di capacità empatica tra quelle che ho conosciuto, mi ha istradato alla formulazione dell’artigianato educativo. La morte di William Galles, un mio caro amico, per overdose mi aveva impegnato, già dal 1977 sulla frontiera del recupero e della prevenzione delle tossicodipendenze, avevo aperto nel 1980 una casa famiglia per tossicodipendenti a Palermo e promosso la nascita della Lega contro la Droga quando incontrai Don Pierino che mi coinvolse nella direzione dell’Università dell’Uo­mo, la scuola di formazione per operatori e responsabili dei centri della Comunità Incontro in Italia e all’estero.

La Comunità Incontro si presenta come un contesto affiliativo, capace di generare, nei soggetti che in essa risiedono, quel clima vitale di comunità che consente la riapertura alla comprensione di sé, all’ascolto dell’altro ed al superamento del disagio e della devianza, attraverso itinerari educativi centrati sulla riscoperta del senso della vita quotidiana.

Il suo programma educativo si fonda su tre capisaldi: una struttura di regole inter­ne, semplici ma basilari per ritrovare il senso dei valori; la capacità di individuare i percorsi individuali a seconda dei bisogni dei soggetti; la partecipazione dei residenti alla gestione dei centri con una progressiva responsabilizzazione.

Ho studiato a fondo la Comunità Incontro e ne ho descritto storia e funzionamento nel 1987, dopo cinque anni di ricerca (Comunità Incontro, 25 anni di storia, Editrice La Parola, Roma). Nel 1988 ho iniziato a raccogliere e catalogare le storie di vita dei giovani tossicodipendenti e, leggendo le relazioni redatte dai responsabili, ho osser­vato caratteristiche ricorrenti, espresse nel linguaggio comunitario attraverso un lessi­co popolare ma efficace: i “rosiconi”, i “quadrati”, i “mammoni”, i “giocherelloni”, i “superficiali”, quelli che si “nascondono negli angolini”, i “comodi”, i “freakettoni”, i “fuori di testa”. Dalla anamnesi delle loro storie di vita si osservava una decisa affinità con sostanze stupefacenti elettive per ciascun tipo.

Ho pubblicato questa catalogazione presso l’Università Pontificia Salesiana nel vo­lume Droga Disagio Devianza (1993) mostrando l’analogia dei tipi con i vizi capitali: gli irosi, i golosi, i lussuriosi, gli invidiosi, gli accidiosi, gli avari e i superbi, ma tali termini non erano più efficaci negli attuali linguaggi comuni in uso tra la gente. Ed anche la comunità scientifica mostrava di non apprezzare tale ritorno ad un codice lin­guistico così lontano.

Intanto 1255 schede (tratte dal follow-up su 13.021 tossicodipendenti approdati in Comunità Incontro da 1979 al 1994, pubblicate in Vecchio Molino, 1996) e 2200 sto­rie di vita mi offrivano un campione delle variabili psicologiche ed educative su cui si era fondato il loro recupero. La sfida teorica consisteva nel definire le caratteristiche di personalità dei diversi tipi, individuare quali prassi educative erano state maggior­mente efficaci  ed analizzare cosa era successo nelle vite di questi giovani.

Per svolgere tali analisi avevo necessità di categorie. Avevo usato alcuni reattivi psicologici che erano risultati efficaci nella diagnostica individuale, ma che non con­sentivano la costruzione sociologica di tipi. Di contro le variabili strutturali (età, sesso, condizione occupazionale, salute, famiglia, residenza, strato sociale, ecc.) riusci­vano a dare qualche spiegazione della esposizione al rischio, ma nessuna sul loro pro­cesso di cambiamento. Le storie di vita, accompagnate alle relazioni dei responsabili, proponevano invece delle descrizioni dei tratti essenziali del loro comportamento e rac­coglievano le indicazioni educative per ciascuno. Feci allora la scelta di utilizzare il sistema di linguaggio di comunità come struttura di categorizzazione. Dopo alcuni tentativi scoprii che la trama dei vizi capitali poteva collimare con tale linguaggio e, con alcuni aggiustamenti e precisazioni, tale trama poteva descrivere le tipologie del disagio.

Il modo di essere dell’iroso “rosicone”, reattivo e risentito, era già stato più effica­cemente descritto dal termine ruminante.

Per i cosiddetti “quadrati”, ovvero soggetti schematici ed ansiosi ho proposto, con qualche dubbio, il vecchio termine di avari, pervicacemente chiusi nella difesa del sé. La loro droga elettiva è la droga della potenza, del successo e dell’immagine: la cocaina. Nel corso del Convegno Nazionale Prevenire e’ Possibile del 1998 un gruppo di lavoro è stato dedicato alla discussione sull’efficacia di tale denominazione. Pur es­sendo la più etichettante si è deciso di conservarla: “inquieti” non rappresentava l’in­sieme delle problematiche difensive dalla paura dell’avaro e “ansiosi” limitava il campo di significato del tipo.

Il “mammone, giocherellone e superficiale” è invece diventato l’adesivo il cui bi­sogno di attaccamento sovente lo proponeva come goloso fagocitatore di ogni cosa: dal cibo, alle persone, alle droghe da cui è politossicodipendente. Il termine adesivo è diretta conseguenza del concetto di attaccamento di Bowlby. Nell’ethos amorale della famiglia difensiva siciliana, a cui mi aveva introdotto l’antropologia di Padre Basilio Randazzo, mio stimatissimo collega alla Scuola di Servizio Sociale Santa Silvia di Pa­lermo, l’attaccamento del bimbo alla madre ansiosa, incapace di rispondere adeguatamente ai bisogni del figlio, diventa dipendenza e genera mammismo. Bowlby propo­ne il termine attaccamento muovendo dallo studio delle teorie etologiche di Lorenz (1949) e di Harlow (1958). Lo studio del comportamento delle oche e dell’imprinting, l’osservazione delle scimmie rhesus aveva dimostrato che l’attaccamento deriva dal nutrimento ma da esso prescinde, costituendosi come “un sistema motivazionale primario”. In particolare le scimmie sottoposte ad un trauma fisico, si avvinghiano sem­pre più forte all’oggetto che provoca dolore e trauma (madri fantoccio). Anche la dipendenza dei bambini da genitori ossessivi è una vortice negativo che si alimenta me­diante ricerca di appagamento affettivo nel figlio, a cui viene sistematicamente rispo­sto con ripetuti traumi di rifiuto. L’adesivo chiede sazietà affettiva e, in tal richiesta, è fastidioso, la madre risponde con un rimprovero per la sua petulanza ed il figlio di­venta ulteriormente adesivo. Il concetto di sazietà affettiva conduce ad una visione di­versa del significato del “goloso” nei vizi capitali; è di immediata intuizione che il cibo è uno scopo vicario e che i disturbi alimentari hanno a che fare con l’affettività mater­na. E’ la ambivalenza della madre, che “avvolge” il figlio per valorizzare la sua identità femminile attraverso la sua maternità, e che lo allontana, quando non è lei il sog­getto attore di tal rapporto totalizzante con la sua creatura, che genera dipendenza.

Per far meglio comprendere le caratteristiche attuali del lussurioso il termine mi­gliore (piuttosto che l’inglesismo freakettone) è stato sballone, che oggi viene sostituito con il termine emozionale perché non è più di uso comune come negli anni ’70 ed ’80. Il termine proveniva direttamente dal contesto culturale della tossicodipendenza e dal linguaggio comune dei contesti giovanili: “Questa musica è uno sballo!, ho passato una estate da sballo!, ho visto un tramonto da sballo!..”. La descrizione della struttura cul­turale ed esistenziale dello sballone è tratta dal lavoro di Milanesi. “Nell’orizzonte cul­turale ed esistenziale di molti giovani, scrive Giancarlo Milanesi (1994) , [la vita appare] come ricerca del piacere, dell’avventura, dell’eccitazione e della novità. Questo sistema di valori è presente in giovani che danno una estrema importanza alla vita eccitante, stimolante, variegata e con molte novità, al piacere, alla gratificazione dei de­sideri ed al godimento attraverso il sesso e il cibo, all’audacia, all’avventura e anche alla creatività. Si tratta di un tipo di giovani che hanno assimilato i modelli edonistico - consumistici e che hanno bisogno di continue stimolazioni, eccitazioni e novità per trovare la felicità - piacere nella vita”.

 

L’invidia, come vedremo, non è solo attiva ma anche passiva e, in tal caso, espri­me l’avvitamento di una personalità nella scarsa stima di sé, nella vergogna e nel na­scondersi; da qui il termine invisibile che si addice a soggetti che facilmente scivolano nella dipendenza da alcool. Le caratteristiche dell’invisibile mi diverranno più chiare a seguito della Ricerca VIOLET e, tra queste, verrà alla luce un connotato di sensibi­lità profonda ed intensa che rende fragili tali soggetti. Il prof. Duccio Zampieri, diret­tore del laboratorio di Empidemiologia dell’Istituto Superiore di Sanità, mi affidò una ricerca sul vissuto dei soggetti infetti da HIV e HVB negli anni 1988 -1990, i cui risul­tati sono pubblicati sulla Rivista dell’Istituto San Raffaele di Milano (1993). Nell’incontrare soggetti sieropositivi o già avviati nel decorso della patologia, percepivo la loro angoscia, la loro consapevolezza di avere una scadenza, la difficoltà nel comuni­care la loro infezione a famigliari o a datori di lavoro, la caduta dei loro progetti, il dolore concreto delle sofferenze fisiche e la tremenda vergogna per una condizione che, più veniva socialmente comunicata ed affrontata come urgenza sanitaria, più costringeva alla invisibilità sociale gli individui contagiati. Nelle interviste percepivo l’acuta sensibilità di chi avevo di fronte, la sofferenza psichica devastante e, insieme, la comprensibile invidia per la mia condizione di soggetto sano ed attivo.

Gli accidiosi presentavano qualche complicazione: se da un lato la loro pigrizia era un tratto evidente, dall’altro l’apatia appariva come una sorta di autoanestesia rispetto al dolore ed al disagio. Luigi Cancrini ha ripetutamente insistito sull’uso di droga come un disperato tentativo di autoterapia, conducendomi a comprendere come l’affinità elettiva con l’eroina sia un punto di arrivo del disagio per soggetti che hanno bisogno di diventare apatici. Le condizioni più acute di apatia le ho, comunque, incontrate nel visitare ospizi per anziani. Laddove la vecchiaia viene considerata un processo immodificabile e del tutto involutivo viene a cadere ogni motivazione al cambiamento e, accompagnandosi questo alla perdita di efficienza fisica, ai lutti e all’abbandono da parte dei figli, quell’essere umano lasciato in solitudine trascorre anche lunghi anni di vita da vegetale. Anche quando l’anziano ripeta i copioni di potere e di predominio recitati per tutta la vita, rendendosi insopportabile per chiunque lo circondi, la violenza dell’istituzione totale lo rende immancabilmente stordito dalla deprivazione affettiva e dall’apatia.

 

I superbi sono stati descritti con il termine di delirante esprimendo così la affinità elettiva con le sostanze allucinogene e il distacco dalla realtà a cui conduce l’eccesso di estensione squilibrata dell’io. Sono debitore alla Prof. Edda Ducci dell’avermi in­segnato, in lunghi ed interessanti dialoghi con lei nel periodo in cui ero docente di Psi­cologia Sociale alla L.U.M.S.A. di Roma, che il risvolto positivo della superbia è la libertà. Per percorrere le strade dell’interiorità dell’uomo è necessario essere approda­ti almeno ad un certo grado di libertà. L’esperire interiore della libertà è un potere “umanante” che, dall’attingimento di sé, conduce ad una validità conoscitiva inossidabile anche di fronte alla conoscenza scientifica. Ciò che dunque chiamavo superbo o delirante non era solo un soggetto tendenzialmente schizofrenico e dissociato dalla realtà. Al di qua di tale evaporazione estrema dal mondo delle relazioni e della concre­tezza contingente, il frutto del distacco (dalla propria madre, da Dio, da modi contem­poranei di vivere, dalle dipendenze, dai condizionamenti, ecc.) era la possibilità di at­tingere da sé. Per ricongiungersi al fine, ma con consapevolezza trasformata e scelta intenzionale. Ma nessuno può dare ciò che non ha. Solo l’educatore che abbia attinto in sé una certa concretezza di libertà, si può accingere ad intraprendere questo tratto delicatissimo della prassi educativa. La frequentazione e l’attenzione per la mia ricer­ca ricevuta da parte di Edda Ducci mi hanno anche condotto ad analizzare le virtù come approdi dell’umano, invarianti nella storia dei processi educativi. Ora se l’approdo della libertà, e della coscienza mediante distacco, era il rovescio della medaglia del deliran­te, l’umile capacità di diventare un uomo in grado di sopportare e sostenere il dolore proprio ed altrui era il rovescio dell’invisibile, l’impegno era il risvolto positivo del ruminante, la fedeltà dell’adesivo, la pace dell’apatico, la generosità dello sballone, la responsabilità dell’avaro. Virtù nascoste nelle pieghe dei copioni dei vizi,  che han­no indicato la via maestra dell’artigianato educativo.

 

Nel frattempo avevo esteso la ricognizione dei tipi in molteplici strutture dove operano artigiani dell’educazione: nelle comunità protette, nelle case famiglia, nei grup­pi appartamento e nei gruppi di incontro per le attività di prevenzione. L’obiettivo era quello di individuare i connotati specifici di ogni tipo e di comprendere il motivo della loro affinità con le diverse strutture a cui partecipavano. La modulazione dei programmi è un esempio lampante di artigianato educativo: la maggiore o minore efficacia dei diversi modelli di comunità di accoglienza, comunità educativa o comunità terapeutica può essere misurata in funzione della personalità dell’ospite. L’occasione per verificare questa ipotesi mi è stata offerta dalla Fondazione LABOS che mi ha affidato l’ana­lisi della ricerca su 508 comunità italiane (Le Comunità per tossicodipendenti, LABOS, Roma, 1994) e la ricognizione approfondita, con osservazione partecipante, su un cam­pione di 30 comunità per verificare il funzionamento delle diverse strategie operative. In tale ricerca ho individuato cinque modelli di comunità di recupero sulla base della loro organizzazione interna, della articolazione del programma, dei modelli antropologici fondanti le comunità stesse, della professionalità degli operatori, dei connotati dei residenti, del rapporto tra operatori e residenti. In tale ricerca ho utilizzato per la prima volta il concetto di personalità collettiva di comunità coniato da Hinshelwood (1987) nel suo studio sulle comunità inglesi.

 

La personalità collettiva è determinata dall’insieme di relazioni tra le persone, dalle caratteristiche strutturali e culturali del gruppo e dal rapporto tra la forma della rete di relazioni e il clima complessivo del contesto. Diverse personalità dei singoli conduco­no a diversi tipi di relazione tra di loro ed a diversi climi sociali. Tali climi possono essere moderati, contenuti e orientati a seconda delle caratteristiche delle strutture e degli itinerari educativi promossi dagli operatori. Con quella ricerca è stato possibile collegare il microsociale delle relazioni con il macrosociale delle strutture. La fecondità del concetto di personalità collettiva ha consentito lo studio dei diversi modelli di re­lazione nei gruppi di incontro, (L’empatia nel gruppo di incontro, Istituto Don Sturzo, Caltagirone, 1996), nelle classi scolastiche (Dalla classe al gruppo, Provveditorato agli Studi di Terni, Terni, 1995), nelle strutture famigliari e nelle case famiglia (La pedagogia dei gruppi e l’artigianato educativo nella scuola, nella famiglia e nelle comunità, Edizioni Prevenire è Possibile, Todi, 1998).

Un gruppo può dunque vivere condizioni di disagio o essere permeato da un cli­ma vitale a seconda dell’articolazione interna dei rapporti, delle affinità o delle opposizioni tra i diversi membri. Ma qual’è il fondamento ultimo su cui poggiano le relazioni interpersonali? Come fanno gli esseri umani a capire e condividere emozioni e sentimenti? Quali sono e come si formano i sentimenti collettivi? Perché alcuni senti­menti sono tipici dei piccoli gruppi ed altri dei grandi sistemi?

 

Nel corso della mia frequentazione del mondo del volontariato avevo conosciuto il Prof. Achille Ardigò che, attraverso la coniugazione delle teoria dei sistemi con la fenomenologia dei mondi vitali, aveva risolto il problema del passaggio tra miscrosociale e macrosistemi. Nel 1986 egli mi fece leggere L’Empatia di Edith Stein, di cui aveva scritto la presentazione alla traduzione italiana.

Quel modo di trattare la questione dell’empatia poteva risolvere molti problemi della comunicazione e della intersoggettività. Gli scienziati sociali di Palo Alto avevano dimostrato che la comunicazione tra viventi era preceduta ed accompagnata da metasegnali in grado di definire il senso della comunicazione medesima, giacché ogni comunicazione modificava il suo contenuto a seconda del contesto in cui era espressa, ma non avevano risolto il problema del fondamento della comunicazione. La teoria dell’empatia di Edith Stein propone, nell’atto empatico, l’origine di ogni processo comunicativo e dimostra che il coglimento empatico è un atto comunicativo sui generis, originario dalla altrui effettiva presenza e dall’altrui effettivo vissuto.

La disposizione verso le diverse emozioni è frutto delle esperienze relazionali pre­coci, che segnano la formazione al sentire di ciascun individuo. Esperienze problematiche di vissuti emozionali, possono condurre alla chiusura verso taluni modi del “sentire” e verso la fissazione su altri. Può anche attuarsi uno sviluppo o una regressione della capacità di empatia stessa, (quasi) sempre reversibile, a seconda del grado di chiusura e delle esperienze a cui il soggetto si affida. La chiusura a talune emozioni, e la riapertura problematica al coglimento empatico, sono connesse alle contraddizioni interne dei soggetti prigionieri di “doppi legami”, così micidiali da impedire ulteriori sviluppi e crescite. Il “doppio legame” è una forma di imbroglio relazionale: mentre a parole viene dichiarato un sentimento, il soggetto empatizza una diversa verità emozionale sottostante, ma gli viene contemporaneamente negata la pos­sibilità di esprimere il dubbio e di fare chiarezza. Al termine di tal sequenza egli è costretto a negare a se stesso ciò che gli sembra di aver percepito, ed a chiudersi rispetto alle sue percezioni empatiche. La chiusura empatica blocca il soggetto che continuerà a sperimentare un vuoto interiore indefinibile.

L’interpretazione del disagio e della tossicodipendenza, proposta in Droga Disa­gio Devianza, nella logica dell’empatia, si fonda sul seguente assunto: quando non è sperimentabile da parte di un individuo un particolare stato di coscienza o non è possibile da parte sua accedere ad un particolare stato d’animo, egli sarà portato a cercare nelle sostanze (e nelle devianze) per lui elettive ciò che non riesce a trovare in se stesso e negli altri.

La chiusura al coglimento empatico è un’esperienza terribile di vuoto interiore, il bisogno di appagamento emozionale conseguente diventa motore dei copioni di disagio. “Sono fatto così” dichiara il soggetto imbrigliato nel suo copione e, solo a fatica, si riuscirà a fargli comprendere la necessità di liberarsi e di crescere. Una rinnovata apertura al coglimento empatico consente la reversibilità dagli stati di deprivazione o dai comportamenti di dipendenza o dai processi di devianza. Il compito degli itinerari di artigianato educativo è dunque quello di individuare l’origine dei copioni nei diver­si soggetti per offrire loro l’opportunità di partecipare a contesti in grado di trasmettere emozioni e sentimenti a loro sconosciuti e da loro spesso rifiutati. Ora, giacché le forme più semplice di vissuto umano sono la sensazione e l’emozione, esse vengono considerate i mattoni costitutivi del coglimento empatico. In particolare quelle emo­zioni di base sulle quali si formano i copioni: sequenze ripetitive di vissuti, ancorati nel comportamento di ciascuno. Intorno a queste emozioni sono stati costruiti gli idealtipi del disagio e delle virtù.

 

Gli stimoli raccolti all’interno dell’Università Pontificia Salesiana hanno rappre­sentato un ulteriore complesso processo di maturazione e di ricerca. In primo luogo sono debitore ad Herbert Franta per avermi messo in contatto con lo studio dell’empatia in senso cognitivo e per i molti chiarimenti sui nessi tra intuizione ed empatia. Ciò ha consentito di coniugare l’empatia in chiave fenomenologica con l’addestramento all’empatia e la sua misura. Ricordo quando fece arrivare da New York  il volume di Gladstein su Empathy and Couseling (1989) che riferiva sulla possibilità di compara­re ben sei scale di misurazione dell’empatia con mix affettivo - cognitivo (Hogan Empathy Scale, Kagan Affective Sensitivity Scale, Barret - Lennard Relationship Inventory, Truax Accurate Empathy Scale, Carkhuff Empathic Understanding Scale, Truax Relationship Questionnaire, Gladstein Nonverbal Empathy Scale). Con tali stru­menti (di grande efficacia per l’ideazione del questionario di artigianato educativo) lo sviluppo o la regressione della capacità empatica non era più solo un’ipotesi di lavoro. Non solo, emergeva l’ipotesi della costituzione delle emozioni di base come frutto dei processi di comunicazione empatica nelle diverse stadiazioni dello sviluppo: dalla fu­sione empatica con la madre alle interdipendenze delle diverse figurazioni sociali (Elias, 1990). Le stadiazioni che conducono all’uomo adulto sono le tappe del costituirsi di assembramenti emozionali sempre più complessi nella maturazione della personalità. Le figurazioni sociali, che qui cito di passaggio, sono le espressioni delle forme di vita sociali che si strutturano in un determinato ambito ed in esse trova giustificazione il concetto di personalità collettiva con cui andavo proponendo uno schema per la lettura delle tipologie di gruppo. La personalità collettiva cominciava ad apparire come il luogo principale di quell’empatizzazione sociosistemica proposta da Ardigò (1988).

Per trasferire questo costrutto teorico nella pratica della pedagogia appariva chiaro e necessario utilizzare la tripartizione tra il sé, gli altri e il mondo: termini noti ed ef­ficaci, facili da spiegare e da utilizzare anche nelle esperienze più elementari di didat­tica. Ultimo, ma decisivo, problema rimaneva quello della progressiva interiorizzazione nello sviluppo socioaffettivo di queste tre dimensioni e, soprattutto, la spiegazione del processo di trasformazione delle emozioni in copioni e in sentimenti nei diversi stadi. Il contatto con lo svolgimento della ricerca di Pio Schilligo ha inserito l’anello man­cante di questo sistema teorico: la sua ridefinizione, attraverso la teoria dei processi distributivi paralleli, del concetto centrale dell’Analisi Transazionale e cioè gli stati dell’Io. Egli li legge come derivati fenomenologici dei processi psichici fondamentali ed unificanti la persona. Un comportamento specifico può essere comparato sia ad uno stato dell’Io adulto, dell’Io genitore che ad uno stato dell’Io bambino. Avrà comunque una più forte prevalenza e centralità in un particolare stato dell’Io. Il modello di Schilligo riesce così a rendere ragione della complessità del sistema uomo, senza scivolare nei riduzionismo meccanico di quel cognitivismo che si modella sull’intelligenza artificiale. I processi intrapsichici e quelli interpersonali possono essere compresi nella loro contemporaneità, ma anche nel loro ordine gerarchico, come sottoinsiemi nei quali è contestualizzata un’emozione.

In questa luce le emozioni di base potevano essere contestualizzate nel rapporto dell’Io bambino con l’ambiente e trasformate in copioni all’interno dell’Io genitoriale

o in sentimenti, guidati dai valori, nell’Io adulto. Ciò ha determinato la tripartizione del questionario di artigianato educativo (il mondo, gli altri, il sé) e degli itinerari di artigianato educativo, a seconda essi siano rivolti allo spostamento delle emozioni di base nelle emozioni adiacenti, o nelle emozioni affini o nelle emozioni opposte in cor­rispondenza con gli eventi del mondo, della relazionalità e della socialità.

 

Lo studio dell’empatia mi ha condotto alla analisi delle tipologie di personalità. Le emozioni, i sentimenti, la storia, i climi sociali e culturali possono essere prese in considerazione dalla scienza cognitiva attraverso un nuovo percorso di ricerca. La rottura con il behaviorismo ha portato a concepire l’informazione e la comunicazione come programma, sfuggendo alla logica meccanicistica delle retroazioni in sequenza. Se ogni passo del processo comunicativo fosse propedeutico al successivo, non potrebbe es­sere possibile la comunicazione complessa. La scienza cognitiva ha dimostrato che la comunicazione interna ad un organismo, o ad un sistema, funziona trasmettendo inte­ri programmi memorizzati, con le loro sequenze interne: ciascun processo comunica­tivo trasmette un “pacchetto” (tale possibilità è sotto i nostri occhi con il digitale)! Anche il coglimento empatico del vissuto emozionale altrui potrebbe però essere assimilato ad un tal “pacchetto”, anche se le sue regole di trasmissione non sono ancora compiutamente investigate. L’empatia contiene, comunque, molto di più rispetto al­l’attività, simile ad una forma di pensiero, che si esplica all’interno del computer. Anche se la sintesi cibernetica ci offre soluzioni straordinarie, per affrontare e risolvere pro­blemi pratici e teorici, essa non è sufficiente per affrontare il mondo dell’empatia e dell’affettività.

Chi discute in termini solo cognitivi di empatia opera un pericoloso e fuorviante riduzionismo. Anche laddove si entri nel merito dei paradigmi di elaborazione dell’in­formazione e si tenda a studiare gli schemi di organizzazione partendo dalla struttura del testo e del messaggio, non si può non osservare che le diverse profondità di elabo­razione sono collegate alla grammatica istoriale (Bartlett, 1975) ossia all’insieme di assunti su come si sviluppa la formazione dei concetti (Bruner, 1983). Le rappresenta­zioni mentali e le forme di categorizzazione obbediscono a processi in cui la psicolo­gia sperimentale non riesce ancora a districarsi, si diversificano, infatti, con troppo grande varietà nei soggetti concreti. Affidarsi a modelli di rappresentazioni mentali solo di immagini o solo di enunciati o a rappresentazioni, e limitare a questi ambiti il pro­cesso di rappresentazione, non conduce lontano: le emozioni infatti non si rappresen­tano, vengono semplicemente percepite, attraverso le sensazioni o mediante empatia, e la loro rielaborazione è intimamente connessa al fatto di viverle.

Ciò non toglie che la teoria delle rappresentazioni sia efficace per descrivere l’ope­razione e l’esito di “programmi di rappresentazione”, specie se si tiene saldo il con­cetto di limite: costitutivo (ovvero di capacità di contenere solo un certo numero di dati), metodologico (non è detto che le attività delle comunicazioni siano solo rappre­sentazioni) e epistemologico (anche se si giungesse alla scoperta di una totale analo­gia tra sistemi neuronali e sistemi computazionali, le rappresentazioni sarebbero co­munque da considerarsi un’altra classe di fenomeni).

E questo vale soprattutto per i modelli di rappresentazione, di senso comune e di senso scientifico, che, nel corso della storia della psicologia e della sociologia, hanno utilizzato un approccio “comprendente” e si sono fondati su idealtipi.

La ricerca mi ha condotto ad appoggiarmi all’idea degli idelatipi, proposti in un linguaggio comune che sembra stridere con la formulazione della teoria, ma che è funzionale a produrre l’innesco di processi intuitivi nel lettore. Anche la scelta del numero di sette idealtipi  è congeniale a quel limite “incorporato in noi in conseguenza o dell’apprendimento o della struttura del nostro sistema nervoso” che Miller, in un fondamentale articolo dal titolo The Magical Number Seven pubblicato sulla “Psychological Review”, 63, (1956, pag.81-97), individua nel numero 7.

 

L’obiettivo dell’educazione è quello di promuovere la maturità dei soggetti in cre­scita e dunque la definizione di maturità riveste un notevole grado di importanza. Nell’approccio ai problemi del disagio avevo sempre visto come il processo di responsabilizzazione fosse costitutivo di un percorso di cambiamento, di equilibrio e di maturazione ma l’incontro con le teorie di Klement Polacek ha consentito un oriz­zonte più vasto. In primo luogo perché egli non si schiera a favore o contro l’esistenza di uno stadio di sviluppo post-formale. Lo stadio delle operazioni formali è quello in cui l’adolescente inizia a formulare ipotesi ed a ragionare in modo astratto e congruente. A tale stadio alcuni autori aggiungo una fase post-formale come ulteriore sviluppo della precedente: il soggetto maturo è quello che accetta le incongruenze della realtà ed è in grado di integrare l’emotività con i contenuti razionali anche di fronte a situazioni con­flittuali. A prescindere dall’esistenza di tale stadio, Polacek propone l’idea di un uomo libero, capace di scelte e di comparazioni. La maturità avviene in diverse aree di svi­luppo che non sono necessariamente correlate, anche se possono influenzarsi a vicen­da: un’area intellettiva, una professionale, una corporea, una morale, una sociale e una psicologica. Oggetto di studio per Polacek è fondamentalmente la maturità psicologi­ca e, per analizzarla, egli ha costruito un questionario di maturità psicologica tarato su soggetti in età adolescenziale. In tale questionario, oltre alle caratteristiche personali e all’adattamento sociale, vengono presi in considerazione i fini dell’esistenza.

Attraverso l’analisi delle finalizzazioni si scoprono gli ideali e i valori del soggetto e sono proprio questi ultimi a consentire quelle operazioni post-formali di riduzione delle complessità e delle incongruenze. Questo è un tassello di grande importanza per l’artigianato educativo, poiché consente di concettualizzare l’analisi delle emozioni e la loro trasformazione in sentimenti attraverso la mediazione dei valori. Per la costru­zione della piena maturità psicologica è necessario un passaggio che non può essere descritto come una stadiazione, pur moderata con un “post”, ma l’interiorizzazione di un tessuto di valori, le cui proprietà sono in parte trascendenti, in parte culturali. L’analisi del disagio aveva dunque un confine: le tipologie del disagio dovevano essere analiz­zate al di qua del limite dei valori ed anche il questionario di artigianato educativo non doveva vertere su aspetti inerenti al sé ideale, alle finalità esistenziali, agli ideali, ai valori intrinseci ed estrinseci. Il questionario doveva avere come oggetto le emozioni di base ed i copioni ad esse connessi, lasciando ad analisi successive lo studio del pro­cesso di trasformazione delle emozioni in sentimenti.

 

Ho imparato il significato di sentimento da Francisco Gnisci. Gnisci, premio Nobel per la Pace in quanto presidente dell’associazione internazionale di medici che contribuì, attraverso i contatti tra i medici personali di di Mikhail Gorbaciov e di Ronald Reagan, alla riuscita dello storico incontro di Reykjavik nell’ottobre del 1986 da cui prese il via il disarmo delle prime testate nucleari.

A lui debbo la spie­gazione del concetto di amore e di affettività come matrice dei comportamenti prosociali. Una cordiale amicizia ed una lunga frequentazione mi hanno consentito di pervenire ad una visione integrata dell’intera teoria dell’artigianato educativo. Il suo pensiero e la sua ricerca sull’uomo è presente in molte pagine di questo volume a par­tire dalla analisi di quegli insiemi, complessi e stabili, di emozioni e di valori qual sono i sentimenti. Nelle esperienze della vita l’essere umano incontra condizioni più o meno difficili ed opportunità, accessibili o nascoste, per progredire nel suo sviluppo. Se è relativamente semplice spostarsi dalle emozioni abitudinarie a quelle ad esse adiacenti (dalla paura alla rabbia, ad esempio) è più difficile entrare in contatto con le emozioni elettivamente affini (dalla rabbia alla calma) e quasi impossibile  conoscere emozioni opposte (dalla rabbia all’attaccamento affettivo o al piacere emozionale) senza aver scoperto il loro valore intrinseco. Perché si formi un sentimento, anche solo relativamente stabile, è indispensabile che un essere umano sia entrato armonicamente in contatto con tutte le sue dimensioni interiori ed abbia ancorato l’oggetto del suo sen­timento a tutte le possibilità emozionali sperimentabili. L’oggetto del sentimento di fratellanza (un fratello reale o simbolico verso cui sperimentiamo la fratellanza) rice­ve da noi un complesso articolato di emozioni: a volte il piacere nell’incontrarlo, a volte la rabbia perché ci ha deluso, a volte il distacco perché siamo in disaccordo, a volte l’attaccamento perché abbiamo bisogno di lui, a volte il sostegno perché vive un mo­mento difficile, a volte il rimprovero responsabile perché commette errori, a volte la tranquilla indifferenza perché non sussistono temporaneamente interessi e motivazio­ni che ci accomunano. Il sentimento è un insieme complesso di tutte le diverse esperienze emozionali orientate sotto un certo segno che le contraddistingue. Tale segno è leggibile nell’alveo originario di una emozione di base (che, per la fratellanza, è sicu­ramente l’unione dell’attaccamento) ma è arricchito di tutti gli altri tratti emozionali, della coscienza dei medesimi, dell’intenzionalità nel viverli e dei valori che lo sosten­gono, lo oggettivizzano fino a dare a tal sentimento “vita propria”. Tanto che di esso si può parlare ed, addirittura, filosofare. Proprietà questa che non è data alle emozioni, poiché esse sono ancorate ai vissuti originari, tanto che risulta assai difficile la loro descrizione e la convergenza (se non intuitiva) sulla loro definizione. La presenza di valori (o disvalori) all’interno dei sentimenti li rende oggettivabili e consente il dialogo intorno alle loro proprietà. La prima tra queste proprietà è quella che distingue i sentimenti positivi da quelli ne­gativi (l’odio, ad esempio): se i sentimenti positivi sono costellazioni di disposizioni emozionali coscienti, guidate nella direzione della affettività e sorrette da valori, i sentimenti negativi si costruiscono a difesa di copioni esigenti, per il soggetto che li vive, senza riuscire ad uscirne, una limitazione della coscienza ed una sforzo di continua giustificazione razionale. Se i sentimenti prosociali, guidati dall’affettività, si sosten­gono di per sé e non hanno bisogno di giustificazioni nella coscienza, i sentimenti antisociali (l’odio) debbono essere alimentati e giustificati attraverso un ragionamento o una ideologia.

Sentimenti negativi e copioni imprigionanti sono dunque stadi diversi: il copione è prodotto dalla fissazione di una o più emozioni, che il soggetto brama di vivere o di contrastare, che riproduce uno schema di azione senza via di uscita di cui il soggetto non sa darsi adeguata spiegazione. I sentimenti negativi sono invece chiari alla coscienza che ha bisogno di giustificazioni attraverso disvalori.

  L’empatia infatti è un processo di comunicazione costitutivo dell’intersoggettività ma conduce al di là dei processi psichici. Questi ultimi sono collocati nello spazio e nel tempo, rispondono alle leggi di intensità, durata e frequenza e producono fenomeni di combinazione ed integrazione tra di loro che possono evolvere verso l’armonia di una personalità o scatenare conflitti interni. In questo passaggio si colloca la diffe­renza tra emozioni e sentimenti e la distinzione tra psiche ed anima. Distinguere non è contrapporre o separare giacché l’uomo può essere studiato solo nella sua globalità. Il distinguere ha una funzione linguistica: serve ad esser certi dell’oggetto di cui si parla.

 

Dalla ricerca teorica e pratica, sintetizzata nelle pagine precedenti, è nata l’idea dei gruppi di incontro e di auto aiuto attuati del progetto Prevenire è Possibile. L’appli­cazione a diversi contesti di tali metodi ha generato ulteriori modalità di lavoro sociale come “la ricerca intervento finalizzata all’emersione dei bisogni”, “la co­struzione di itinerari educativi per l’uscita dal disagio” e “la riorganizzazione delle personalità collettive”. Dal gruppo di incontro si sono infatti sviluppati i criteri per l’organizzazione di gruppo di lavoro e di gruppi di formazione che, applicati alle diverse formazioni sociali, consentono di orientarle verso un più armonico equilibrio ed una maggiore efficacia nel raggiungimento dei fini. L’evoluzione at­tuale e più significativa di Prevenire è Possibile è avvenuta dopo il 2000.

Il modello di lavoro e di intervento di Prevenire è possibile si collocava all’interno di quelle esperienze associative e di volontariato variamente denominate “terzo settore”, “terza dimensione”, “terzo sistema”, “economia sociale”, “privato sociale”, “volontariato”, “associazionismo”, ecc., le quali, nel corso degli anni, sono andate progressivamente appiattendosi sul codice normativo dello stato ed hanno fatto affie­volire la speranza di miglioramento delle relazioni sociali ed interpersonali nei nostri modi di vivere attuata nella straordinaria stagione degli anni ‘80 e ’90. Ho con attenzione analizzato il processo di involuzione del Terzo Settore sia alla luce della teoria delle personalità collettive sia nella prospettiva di individuare il nuovo na­scente  nei contesti delle professionali non regolamentate. Vediamo il processo. Il Terzo Settore, costituito da un insieme molto differenziato di esperienze, forme associative, motivazioni all’azione, economie, tipi di relazioni, etc., ha ricevuto pochis­simo dalla Stato (il quale riceve molto dal mercato mediante prelievo fiscale e lo  uti­lizza al fine del mantenimento della sua burocrazia interna) ma, in cambio di molto poco, ha stravolto la sua natura interna appiattendosi sui codici burocratici in modo del tutto simile al sistema statale che contestava. La definizione di Terzo Settore (TS), diventata egemone seppur non condivisa dal rimpianto Achille Ardigò che preferiva “terza dimensione” come luogo di produzione di senso da parte dei mondi della vita, accomuna le esperienze associative, di volontariato, di impresa sociale come parte di un unico sistema di produzione di beni relazionali. Anche la definizione di Donati, “privato – sociale” (Donati, 1996, p. 30) come prodotto delle reti sociali che, dopo essersi differenziate, devono produrre delle sfere di rela­zione la cui specializzazione consiste nell’integrare (o almeno relazionare in modo solidaristico) ciò che è stato differenziato, non basta a spiegare come mai queste reti si sono ampliate ed organizzate a scapito dei valori a cui facevano riferimento. Le cooperative, ad esempio, che, da luogo di uguaglianza ideale, si sono trasformate nelle forma più acuta di sfruttamento per gli operatori dei servizi. Donati, nel capitolo conclusivo della Sociologia del Terzo Settore (1996), costruisce una complessa ed interessante tabella sulle configurazione societarie del ruolo del TS. A seconda di come un sistema complessivo di società  considera il TS, le attribuzioni ad esso riferite variano dalla tolleranza verso TS come attività di beneficenza (nella configurazione residuale), al TS come diritto (configurazione di tutela),  al TS come pienezza di cittadinanza societaria (nella configurazione di promozione). Di concerto variano sia i rapporti tra TS, stato e mercato,  sia le strategie di gestione interna, di organizzazione esterna e le finalità del TS. Ne discende la considerazione di un sistema di TS non solo produttore di beni relazionali ma esso stesso definibile nel tipo di relazione che intrattiene (può intrattenere) con gli altri sistemi. Questa sua individuazione, del tutto particolare, ne sancisce l’esistenza come realtà con genere proprio ma rende, per ora, quasi impossibile la sua descrizione fenomenica. Almeno fintanto che non sia lo stesso TS in grado di autodescriversi fattivamente nel­le forme di relazione societaria e di economia politica che sembra possedere in nuce. Ma l’evoluzione del TS è stretta tra “gli statalisti che vorrebbero fare del TS un grande contenitore di attività al servizio della pubblica amministrazione [.e.] i liberisti che vorrebbero dare nuovo impulso al mercato riconoscendo il ruolo del TS in funzione di una estensione delle attività degli stessi soggetti di mercato...Così il TS diventa ogni giorno di più campo di lotta per due forze esterne che tentano ciascuna di arruolare per sé quante più organizzazioni di TS possono: lo Stato attrae a sé quelle che si as­soggettano ad albi e registri...il mercato quelle che possono essere più facilmente commercializzate” (Donati, cit., p. 231). Del resto già da tempo l’ottica di Welfare State (WS) puro appiattiva sul  pubblico importanti espressioni del TS come il volontariato il cui “ruolo prezioso é insostituibile nell’ambito dei moderni sistemi di WS, a patto che  si mantenga la centralità del soggetto pubblico” (Ascoli,1987, pag. 18). Non a caso, allontanatasi dalla defini­zione di terzo settore e terza dimensione, rifiutando di vedere assimilate le reti famigliari con le forme associate di privato sociale, la cultura politica della cittadi­nanza societaria si volgeva essenzialmente nella direzione di promuovere la strategia delle cento costellazioni associative. L’affermazione “laddove vi è più WS meglio si sviluppa  il TS”  ricorrente negli anni ’80, altro non era che il permanere di un desiderio statalista funzionale a contenere il TS nelle logiche dell’amministrazione regionale dei servizi, svuotando così il senso della proposta di partecipazione soggettiva alla vita relazionale da parte di uomini che stavano realizzando se stessi nei rapporti di aiuto. Il sistema politico-amministrativo ha sempre considerato il TS residuale e subalterno, tanto che la vitalità sociale delle reti informali invece di espandersi era libera nella sue possibilità di organizzarsi e di esprimersi “il sistema politico-amministrativo ha fatto di tutto per rendere (la) garanzia (di libertà nella creazione delle associazioni) più difficile. E non si tratta solo di esigenze legate all’idea e alla prassi di WS, ma anche di una perdurante mentalità giurisdicistica che intende ed usa il diritto essenzialmente come strumento di controllo sistemico” (Donati, 1996, p.235). Dopo il 2000 questo processo si è assolutamente stabilizzato al punto da rendere in Terzo settore una vera e propria componente strutturale della economia della globalizzazione. Sono in essa cadute le spinte solidaristiche soggettive che presentano solo una funzio­ne di immagine sui mass media, anch’essi globalizzati, e, in gran parte, sfuggiti di mano alle stesse centrali del potere politico. Dopo la storica data del 15 novembre 1994, in cui è stato siglato, a Marrakech, l’ac­cordo W.T.O. (World Trade Organization) anche il T.S. è entrato nella globalizzazione del mercato unico mondiale fatto di una economia generalizzata di consumismo e di povertà prodotta dal ricorso al credito economico su denari virtuali e, quindi, su un debito che viene sistematicamente scaricato sul futuro. Il W.T.O. inaugura la stagione delle carte di credito, che meglio sarebbe definire come carte di debito i cui interessi, anche a due zeri, ipotecano le economie future delle giovani generazione mentre i sistemi di Welfare State sembrano proteggere sistematicamente la componente anziana della popolazione a scapito dei giovani.

 

 Il counseling relazionale è stato il principale approdo degli anni successivi al 2000 . In primo luogo perché, alla luce della teoria delle personalità collettive, il soggetto miglioratore delle relazioni non appare più prendere la forma di una struttura associa­tiva del Terzo Settore. O, meglio, non è il fatto di essere una struttura di Terzo Settore l’elemento determinante per i processi di miglioramento relazionale.

La proposta di Ardigò, racchiusa nel termine  “terza dimensione”, includeva due tipi di rapporti sociali: a) le relazioni di mondo vitale (familiari, parentali, di vicinato, di amicizia, ecc.) e b) l’area delle solidarietà associative (volontariato, cooperazione sociale, mutualità). Questi due ambiti presentano personalità collettive ben differenti ed economie di servizio alla persona molto distanti tra di loro. Dal punto di vista ide­ale in ambedue i tipi di rapporto sociale si applica (teoricamente) il criterio dell’agire senza piegarsi al calcolo e al lucro. In gran parte ciò è dovuto al fatto che i beni sociali sono oggetto di prestazione diretta, gratuita e comunitaria ma, in parte più rilevante, al fatto che tali economie funzionano sulla base della rendita prodotta dalla messa in comune di proprietà, di beni e di servizi. Il capitale sociale ed umano costituisce una fonte di rendita per le opportunità che offre alle persone di sopravvivere e di consu­mare risorse condivise all’interno di mondi vitali e associativi. La globalizzazione economica e comunicativa ha però prodotto processi di diseconomia di tale rendita perché la propensione al consumo ha portato molti di questi mondi ad indebitarsi e ipotecarsi il futuro per la sopravvivenza consumistica dell’oggi e li han­no esposti a fluttuazioni finanziarie che spesso hanno di colpo prosciugato la rendita economica e la rendita del capitale sociale. Sul piano economico si è verificato un forte parassitismo nella terza dimensione: nelle famiglie osservando come gli alloggi e il mantenimento dei nuclei famigliari sia spesso affidato alla proprietà ed alle pensioni godute dalla popolazione degli anziani; nelle economie associative dal fatto che esse traggono quasi esclusivamente risorse dagli stanziamenti pubblici a loro favore. La concorrenza per l’accesso ai consumi ed ai servizi ha innescato forti meccanismi di potere ed ha ulteriormente depotenziato la produzione di senso e di identità, indivi­duali e collettive, incentrate sulla realizzazione umana del sé, della propria professio­ne e del proprio ruolo nel sistema sociale. L’economia globalizzata non è stata un antidoto ai conflitti, li ha anzi generati attra­verso nuove forme di affermazione di potenza. L’oriente impone i suoi prodotti indu­striali, i suoi prezzi e la sua forza finanziaria. La Cina esporta i suoi capitali nelle ban­che americane fino a quando, nel 2008, il sistema occidentale non decide di far fallire le banche che gestiscono i “fondi sovrani” originati da Cina, Russia, Emirati Arabi. La crisi conseguente avrà il radicale effetto di erodere ancor più alle fondamenta il modello di Welfare State, appoggiato sul Terzo Settore che rischia di non ricevere più le risorse statuali per erogare prestazioni ai settori più deboli e marginali della popolazione. Proprio perché non è più possibile pensare ad un sistema generalizzato di massa di prestazioni sociali il modello di lavoro implementato si è centrato sulle libere professioni di aiuto, capaci di fronteggiare le crisi individuali, sociali, di senso ed economiche attraverso il piccolo ma capillare lavoro di operatori che traggono direttamente dal rapporto con i clienti la loro sussistenza e restituiscono ai clienti un autentico senso della vita sulla base del quale possono riorganizzare la loro esistenza. In tale assunto va collocata la scelta di Prevenire è Possibile di spingere al massi­mo nella direzione di costruire nuove soggettività professionali di aiuto in vari settori, principalmente nel counseling relazionale.

 

La network analysis (l’analisi dei reticoli relazionali dei gruppi) dimostra come la di­versa personalità collettiva di un gruppo dipenda dalle sue differenziazioni sia delle disposizioni relazionali intersoggettive (la forma “spaziale” del gruppo) che dei cicli di vita gruppali (la durata nel tempo del gruppo). La configurazione delle reti è conseguente al modo di sovrapporsi dei campi psicolo­gici delle persone. Ben diverso è un gruppo il cui centro di attrazione è formato dalla sovrapposizione di campi psicologici permeati dalla tensione all’incorporazione rispetto ad un gruppo in cui regna la tensione verso l’affiliazione, o verso il controllo-sicurez­za, o verso la separazione-conflitto, o la differenziazione personale, etc. A seconda del focus attrattore i gruppi assumono forme diverse: l’incorporazione produce gruppi a forte valenza emozionale, spesso estemporanei e fluttuanti (folle, comitive, compagnie, diadi occasionali, etc.); l’affiliazione ingenera gruppi più stabili e con processi di di­pendenza; la tensione verso il conflitto da luogo ad un incontro intersoggettivo pro­duttore di identità per differenziazione dall’esterno ma, oltrepassata la soglia di tenuta reticolare interna, esplode nei conflitti interni (gangs, bande, gruppi di mafia ma anche società di affari, gruppi di interesse, etc.); la tensione alla sicurezza ed al conse­guente controllo produce la multiforme moltitudine di gruppi formali; la tensione all’autostima ed alla differenziazione del Sé conduce alla separazione  nei gruppi in­corporativi o affiliativi ed alla complessità nei gruppi formali; il desiderio di annullare le tensioni conduce a gruppi conformisti che aderiscono passivamente ed imitativamente al reticolo intergruppi in cui si contestualizzano; la troppo forte ten­denza degli individui all’introversione non riuscirà a produrre alcuna forma di raggrup­pamento, ecc... Ancora più complesso apparirà il sistema gruppale laddove si incontrano reciprocità complementari (tensione all’incorporazione narcisistica e tensione all’affiliazione, ad esempio) o reciprocamente escludenti (tensione verso controllo-sicurezza e tensione verso la differenziazione) o simmetriche (tensioni verso la differenziazione) o  elidenti (tensione verso l’introversione e tendenza al conformismo), ecc.. Il tutto leggibile come modulazione complessa delle prime differenziazioni dell’empatia: simpatia, antipatia ed apatia. Lo studio dei gruppi condotto con la stessa logica dello studio dei copioni delle perso­nalità individuali partendo dalle emozioni di base mi ha condotto all’elaborazione di uno strumento di network analysis (Questionario di personalità collettiva) che ha per­messo l’individuazione di alcune prime personalità di gruppo modellate sulla base delle emozioni vissute e condivise all’interno dei gruppi (cfr Masini, gran parte dei lavori dal 1995 fino al 2008). I movimenti dell’Io ed i processi di empatia conducono a for­mulare l’ipotesi delle personalità collettive di gruppo e della diversa sociabilità delle reti dei gruppi, formati sulla base dell’area di sovrapposizione dei campi psicologici delle personalità individuali centrate sulla emozione di base che le caratterizza. Per sociabilità si intende “la proprietà relazionale delle reti che costituiscono una forma associativa, in base alle quale esse sono capaci di generare determinati beni sociali” (Maccarini, 1996, p. 100). Nello studio delle personalità collettive prendono consistenza teorica due concetti molto importanti per il counseling relazionale: l’affinità elettiva tra persone e l’opposizione elettiva. Affinità elettiva è la somiglianza, nella differenza, tra persone che hanno in comune qualche tratto di movimento dell’Io, fissato più o meno stabilmente, che costituisce la ragione del loro sentirsi attratti vicendevolmente. Le opposizioni relazionali spiegano le tensioni sistemiche all’interno dei gruppi. Ov­vero i processi che stanno alla base del vicendevole respingersi delle persone. Con questi due concetti, incentrati sui modelli di relazione sociale delle personalità individuali, ha preso forma una analisi del reticolo gruppale che si esprime prima di tutto nella rete di relazioni diadiche; poi, quando le relazioni diadiche diventano socialmente visibili, gli individui si comprendono vedendosi vicendevolmente nel modo di esprimersi nelle diadi; successivamente si stabiliscono relazioni che interferiscono con le relazioni a due (relazioni che si relazionano alle relazioni a due); infine è nel-l’area di sovrapposizione dei campi psicologici degli individui che il gruppo trova compimento. Ogni tipo di personalità collettiva di gruppo ha proprietà specifiche e un sistema di funzionamento del tutto particolare che si discosta, con maggiore o minore scarto, dalle dinamiche intragruppo e intergruppo analizzate nei tradizionali esperimenti di psico­logia sociale. Da questa ipotesi ne discendono altre numerose: ad es. la teoria della polarizzazione, del condizionamento e del trascinamento della maggioranza o delle influenze della minoranza si verifica diversamente a seconda delle personalità collettive di gruppo. Possono esserci gruppi di socializzazione acquisitiva di comportamenti conformistici o addirittura di sottomissione, ma anche gruppi di esercizio della libertà e della differenziazione. In un gruppo un individuo può trovare lo spazio psicologico della affiliazione, in un altro può iniziare a realizzare la sua personale identità. I due gruppi possono essere due stadi del ciclo di vita di un unico gruppo: proprio perché tali persone fondano la loro sicurezza sulla affiliazione realizzata, possono iniziare a differenziarsi. Il tessuto di relazioni (anche potenziali) è spesso immediatamente innescato dalle affi­nità e dalle opposizioni colte empaticamente: il gioco delle simpatie ed antipatie è de­terminante nei conflitti, nella scelta del leader, nei mutamenti, nell’adesione alla mag­gioranza o minoranza, nel conformismo. Tutti questi processi hanno una modulazione diversa a seconda del tipo di personalità collettiva di gruppo: possono determinare la comunanza tra alcuni specifici individui nel gruppo in stato nascente, il consolidamento di una struttura gruppale attrattrice di taluni individui piuttosto che di altri, lo sgretolamento del gruppo in diadi, la divisio­ne e il conflitto tra sottogruppi, la differenziazione di tutti i membri, la dipendenza affiliativa, la fusionalità incorporatrice, la stagnazione nel conformismo, il despotismo del controllo, la pietrificazione del gruppo, ecc... Le variabili influenti sul comportamento organizzativo della personalità collettiva sono: 1) la soggettività degli attori, data dai copioni di personalità (inclusi interessi e valo­ri), 2) le pressioni tendenti a conformare i soggetti al loro ruolo per dare al gruppo la struttura più idonea per il raggiungimento dei fini. Il concetto di personalità collettiva è dunque limitato, per così dire, in “basso” dalle personalità individuali ed, in “alto”, dalla pressione culturale e funzionale sistemica. Le disposizioni delle persone si elicitano in relazioni d’affinità, o d’opposizione, connesse al ruolo rivestito nel gruppo (attraverso cui si esprime la pressione della struttura sui membri). L’articolazione delle relazioni dà una forma singolare ad ogni gruppo che viene rap­presentato in un grafo a radar con sette assi graduati a seconda del punteggio che il gruppo ottiene nell’espressione delle sue caratteristiche di personalità collettiva. La forma è però sovradeterminata dal contesto specifico di norme e rappresentazioni collettive del gruppo che generano “identità tipologiche stabili”: famiglia, gruppo di lavoro, pattuglia, classe scolastica, ecc. anch’esse, a loro volta, determinate dall’implementazione di un particolare modello relazionale che le ha storicamente costituite. Se il livello relazionale “basso”, è influenzato dagli atteggiamenti individuali in affi­nità (o in opposizione), il livello “alto” si determina dalla relazione tra “identità gruppale socialmente costituita” e “personalità gruppale relazionalmente cocostruita”che vigono su due diversi livelli epistemologici: 1° Livello: le formazioni gruppali codificate (ovvero definite nella loro storia come raggruppamenti con norme, fini e rappresentazione sociale condivisa) hanno strutture, funzioni, cornici di definizione e significato e privilegiano certi tipi di relazione interpersonale piuttosto che altre in ragione dei loro fini. Queste formazioni hanno nomi di senso comune che esprimono la loro identità di funzioni (famiglia, squadra, pubbli­co, gruppo di lavoro, ecc., alla quale si fa corrispondere uno stato emozionale origina­rio condiviso che le contraddistingue. 2° Livello: all’interno delle tipologie di famiglia, pattuglia, gruppo di lavoro, ecc. c’è una ampia oscillazione di stili di relazione che modellano i gruppi nelle illimitate pos­sibili sfumature di esistenza. Esistono tanti modi di essere famiglia, gruppo di lavoro ecc. nei quali si manifestano modulazioni relazionali diversamente orientate. Ed ecco che: “Quel padre è così autoritario che ha trasformato la sua famiglia in una caserma!”, “E’ un imprenditore così aperto e generoso che la sua azienda è una famiglia!”, ecc. Compare così la spiegazione della diversa configurazione dei gruppi sulla base della loro identità e della funzione che hanno nel sistema sociale. Possiamo compendiare le identità gruppali in sette formazioni (per analogia con il modello fin qui seguito) in 56 espressioni linguistiche, tra le tante rintracciabili nel nostro lessico, che designano categorie di raggruppamenti sociali disposte, con bene­ficio di inventario, in sette tipi a seconda delle relazioni interpersonali presenti al loro interno. Si può notare anche un percorso che lega questi termini, in un progressivo cam­biamento di tipo logico, con il cambiamento delle caratteristiche delle funzioni e dei rapporti conseguenti.

-          ordinamento-costituzione -organizzazione-gruppo di lavoro-ufficio-squadra­collegio-carcere­

-          esercito-plotone-ciurma-squadriglia-commando-pattuglia-cellula-sindacato­(advocacy)­

-          assemblea-riunione-consulto-comitato -consiglio-commissione-sinodo­adunanza­

-          meeting-spettacolo-festa-comitiva-compagnia-gruppo di amici-incontro­coppia­

-          crocchio-capannello-assembramento-agglomerazione-folla-aggregazione-gente­insieme­

-          common people-maggioranza silenziosa-seduta-pubblico-condominio-ricovero­mutua-parentela­

-          domestico-corte-famiglia-comunità-confraternita-sodalizio-unione-associazione-

I termini presentati corrispondono agli orientamenti delle identità collettive che sono esercitati sottoforma di ruoli sociali prevalenti in quel tipo di raggruppamento. Il ruo­lo sociale principale di un sistema tecnico di ruoli è il controllo, della famiglia è affiliativo, di una squadra è la competizione, di un Consiglio è “tener insieme nella differenziazione”, di una comitiva è la fusionalità, di un “insieme” è l’assenza di lega­mi, di un pubblico è la recettività. L’identità collettiva di un raggruppamento è qui vista come il prodotto dello stabiliz­zarsi nella cultura di una personalità collettiva storicamente costruita e trasmessa, la quale personalità collettiva si è determinata dall’instaurarsi di un certo tipo di relazioni di affinità, o di opposizione, referenti di taluni raggruppamenti umani. In ciascuna identità di gruppo si costruiscono gruppi concreti che hanno personalità collettive particolari generate dalle relazioni di affinità, o opposizione.

Il counseling relazionale si pone al servizio di tali processi che, oltre ad essere peda­gogici, psicologici, spirituali sono anche economici e di partecipazione politica. Il di­sagio soggettivo individuato nei copioni di comportamento è infatti esito di relazioni oppositive tra persone che s’imprigionano nella ripetizione sociale tipizzata e ritualizzata. Se un uomo sta male significa che c’è qualcun altro, reale o fantasmatico, che lo fa star male. In altre parole il primo passo per l’uscita dal copione di disagio presuppone un processo di liberazione dalle dipendenze relazionali rinforzata dalle economie delle rendite di mondo vitale o di mondo associativo. Se infatti un soggetto presenta un disagio oggi non può più sperare di trovare risposta nei suoi mondi della vita o nelle realtà associative a cui partecipa. La famiglia gli dirà ciò che è conveniente che lui faccia per l’interesse della famiglia medesima (che non è detto coincida con il suo percorso di realizzazione sociale ed umana), la realtà associativa (amicale, politica, religiosa, sportiva, ecc.) gli dirà quello che lui vuole sentirsi dire e non quello che gli serve davvero per non perdere un membro prezioso nella at­tuale crisi di capitale umano e sociale. In questo quadro, al fine di formare soggetti capace di disporsi al processo di miglio­ramento personale, relazionale e sociale gran parte della progettualità di Prevenire è Possibile si è dedicata allo sviluppo del counseling. Il Counseling è una relazione d’aiuto che muove dall’analisi dei problemi del cliente, si propone di costruire una nuova visione di tali problemi e di attuare un piano di azio­ne per realizzare le finalità desiderate dal cliente (prendere decisioni, migliorare rela­zioni, sviluppare la consapevolezza, gestire emozioni e sentimenti, superare conflitti).

 

Il primo passo nella via del riconoscimento del counseling come professione è stata la costituzione di una associazione tra professionisti per la diffu­sione di metodi educativi per la prevenzione del disagio, per l’aumento delle capacità relazionali e di apprendimento, per l’organizzazione ed il management dei processi sociali e per la gestione di strutture educative e formative a qualunque livello, in cui si sono integrate le diverse professionalità di psicologo, pedagogista, educatore, teologo e sociologo in un quadro sinergico e fattivo. Lo Studio Associato Prepos ha poi lavorato alla costruzione ed al riconoscimento del­la figura del counselor promuovendo dapprima la apposita commissione accesa nella Federazione delle Associazioni Italiane di Psicoterapia  per poi costruire una rete di relazioni e contatti nazionali ed internazionali che stanno conducendoci alla soglia del riconoscimento legislativo di tale figura di professionista. Uno dei passi più significati del lavoro per lo sviluppo e l’accreditamento del counseling è stato l’incontro con l’EAC (European Association of Counseling) a Laren, in Olan­da per poi, nell’intensificarsi delle relazioni internazionali dopo la conferenza presso la Croce Rossa Italiana dell’Ottobre 2008 “Certificare i counselor e diffondere il counseling” a Roma, entrare in contatto con la NBCC (National Board for Certified Counselor), prestigiosa associazione statunitense con cui venne firmato una convenzione per il trasferimento in Italia degli standard americani e del modello di certificazione internazionale.

Il counseling è costituito da una serie di abilità, di esperienze e di comprensioni sul significato della natura umana e della relazione tra uomini. Una delle ragioni che determinano confusione sul significato di counseling è l’errata interpretazione della sua etimologia: l’origine è nella radice latina del verbo “consulo-ere” che non conduce alla voce consultazione o consulenza (consulto-âre) ma al significato di “consolo” la cui struttura semantica è quella di “cum (“con”, “in­sieme”) e solere (“alzare”, “sollevare”), ovvero “sollevarsi insieme” oppure “cum” ­“solo” nel senso di essere con il chi è solo. Per consolare occorre avere qualcosa da raccontare ed entrare in relazione con l’umanità dell’altro. Il counseling, in questa luce, concerne la natura delle relazione umana, con l’umano. Il concetto di umano precede il concetto di persona, così come il concetto di umanità precede il concetto di personalità. L’essere umano diventa persona nella relazione con l’altro e sviluppa la sua identità biologica attraverso le occasioni a lui proposte dagli incontri con le persone essenziali nel corso della sua vita. La sua identità emerge dalla sua natura umana e prende forma nella sua costruzione della sua personalità. L’identità biologica precede la coscienza e la coscienza precede la personalità. Questa ulti­ma è il principale oggetto di analisi della psicologia (che investiga anche sui prece­denti livelli) ma che non interviene come apparato di azione sullo sviluppo dell’uma­no e sulla distinzione tra ciò che è umano e ciò che umano non è. L’approccio del counseling all’umano precede concettualmente l’approccio psicolo­gico e si configura come processo di relazione con l’umano presente nelle soggettività che il counselor incontra. L’attività del counselor è quella di una educazione, o rieducazione, all’umanità nel rapporto che il cliente ha con se stesso, con gli altri e con il counselor stesso; il counselor è lo strumento umano per favorire lo sviluppo dell’umanità del cliente. Counseling e psicologia sono dunque marcatamente differenti; il primo è una metodologia di lavoro relazionale, la seconda è una disciplina teorico-pratica. Anche il loro oggetto differisce: l’”umano”  infatti si elicita nelle relazioni ed afferisce come oggetto più alle scienze sociologiche o antropologiche che a quelle psicologiche. Inoltre il metodo e le tecniche del counseling non si rivolgono al mondo intrapsichico ma a quello relazionale, con privilegio dell’empatia affettiva rispetto a quella cognitiva e con marcata attenzione alle strutture archetipiche dell’umano sia nella coscienza col­lettiva che nell’inconscio collettivo. Il counselor opera mediante relazioni di affinità sociosolidale con il cliente; egli di­venta ciò di cui il cliente ha bisogno al fine di sviluppare quelle dimensioni dell’uma­no ancora ignote o critiche per il cliente. Sono infatti le relazioni che conducono l’es­sere umano a diventare persona e l’”umano” si sviluppa e diventa personalità laddove ci siano relazioni di affinità elettiva. L’affinità elettiva sostiene relazioni di disponibilità, di dialogicità, di riconoscimento, di incontro, di mediazione, di complementarità e di integrazione. La natura del rapporto di aiuto nel counseling verte sulle abilità relazionali che dispongono a tali modelli primari interumani. Il disagio che il counseling affronta nasce invece dalle esperienze e dai vissuti di relazioni oppositive, quali l’equi­voco, l’incomprensione, l’evitamento, la delusione, l’insofferenza, il fastidio e il lo­goramento. Quando i rapporti umani vengono imbrigliati all’interno di tali trappole relazionali l’evoluzione verso la costruzione di una personalità armonica è costretta in copioni ripetitivi e limitanti di comportamento. Il counseling muove per l’innesco di processi di miglioramento e propone risposte articolate ma semplici ai problemi della vita delle persone che non trovano vie di uscita in metodi troppo accademici, strutturati e codificati. D’altro canto il counseling si pone anche come reale alternativa alle attuali spinte new-age di relativismo etico che troppo spesso scivolano nella banalizzazione. Dalle cure “fai da te” o alla magia passando attraverso una fitta rete di proposte “leggere” ma inconsistenti se non addirittu­ra pericolose. L’esito è spesso la formazione di professionisti umanamente fragili e con deboli tecniche di intervento sulla persona. Questo può anche dipendere dalla proce­dure e dal percorso di studi che vede porgere prima i contenuti teorici e solo in segui­to, quando ormai molte difese cognitive si sono già strutturate e sedimentate, l’espe­rienza pratica di un lavoro su se stessi. Dall’altro il mondo delle realtà delle pratiche di intervento postmoderne e new-age, che spesso tendono ad insinuarsi sotto l’ombrello del counseling, crolla sotto i colpi dello scandaglio scientifico per la sua debolezza strut­turale, per lo scarso approfondimento e la poca profondità del suo sapere. Dare digni­tà e riconoscimento alla realtà del counseling è dunque un obiettivo di vasta portata sociale e culturale spiegandone le metodologie e presentandolo nella concretezza del suo fare e nella semplicità teorica, diametralmente opposta alle teorie altisonanti, gerarchicamente riconosciute, ma prive di operatività e di spendibilità.

La costituzione della Associazione Counselor Professionisti e il rapporto con la CNA ha consentito l’importante successo politico della approvazione della legge 4/2013 con la quale sono state riconosciute le professioni non ordinistiche e che ha rappresentato la possibilità di lavoro per migliaia di professionisti (dagli amministratori di condominio ai periti antiinfortunistici, ai massaggiatori, ecc. fino ai counselor) che fino ad allora operavano senza riconoscimenti.

Nel frattempo la situazione economica generale è cambiata, sono emersi nuovi bisogni e si è verificata una involuzione dello stesso counseling che da un lato ha iniziato a scimmiottare scorrettamente il lavoro degli psicologi dall’altro si è perduto negli esoterismi confondendo l’aiuto alle persone con la pratica dei tarocchi.

Si è resa così necessaria una ulteriore elaborazione incentrando la ricerca e lo sviluppo della attività professionale in modo risoluto verso una teoria relazionale che potesse essere la base per un nuovo modello di pratica nei rapporti di aiuto e che non corrispondesse ad una professionalità specifica ma fosse una specializzazione di tutte le professioni coinvolte in attività relazionali.

La pubblicazione di Medicina Narrativa e le ricerche svolte in campo sanitario sono state efficaci per proporre modelli di relazione medico-paziente articolate sulla base del vissuto di malattia del paziente con una attenzione più marcata alla Illness piuttosto che al Desease.

Per questa via prenderà corpo la forma più esplicita di teoria relazionale che, superando le strettoie delle teorie della comunicazione, può proporsi come un nuovo strumentario interdisciplinare per lo sviluppo di un punto di vista alternativo sui nostri modi contemporanei di stare in relazione con gli altri.

Il modello relazionale su cui oggi verte la ricerca si fonda sul seguente schema teorico:

Le emozioni si trasformano e diventano sentimenti all’interno delle relazioni. Frequenza, intensità e definizione sono cardini della teoria relazionale il cui scopo è lo sviluppo dei beni relazionali: e cioè i sentimenti ed i valori che li qualificano, li definiscono e li confermano.

Dalle tipologie personologiche (saggio, intraprendente, creativo, generoso, pacifico, umile, fedele) muove la via per il superamento dei copioni ovvero per la trasformazione di difetti in virtù. Ma spesso le persone sono incastrate nei copioni dalle relazioni primitive, ovvero tra copioni ripetivi  (diffidenza, dispetto, rivalità, eccedenza, noncuranza, lamento, connivenza) e tra copioni oppositivi (oppressione, intimidazione, squalifica, seduzione, demotivazione, istigazione, manipolazione, comando, provocazione, derisione, traviamento, affondamento, imbroglio, condizionamento) che generano relazioni di opposizione (insofferenza, delusione, logoramento, evitamento, fastidio, incomprensione, equivoco).

Le persone maturano invece attraverso le relazioni di affinità (integrazione, complementarità, mediazione, incontro, riconoscimento, dialogicità, disponibilità). Le connessioni tra le tipologie personologiche (e del disagio) e le tipologie relazionali indicano le due vie di miglioramento giacché le persone che hanno superato i loro copioni riescono a migliorare le loro relazioni e le relazioni guarite, a loro volta, fanno evolvere i copioni delle persone.

I fondamentali elementi costitutivi della psicobiologia sono la dinamica, l’emozionalità e il controllo (attivazione, arousal e controllo valutativo dello stimolo). Tali elementi sono presenti con diversi mix nei copioni e, mediante l’analisi degli incroci dei copioni nelle relazioni, possono essere considerate quantità riscontrabili nel computo matematico delle componenti relazionali. Ciò è particolarmente utile per collegare la patologia individuale alla relazione che la ha generata.

Così come in ciascuna persona coesiste una pluralità di copioni (di cui alcuni caratterizzanti la sua personalità ed altri meno sviluppati) in ciascun raggruppamento sociale la presenza di una particolare miscela relazionale determina la personalità collettiva.

Così come il temperamento di un individuo è collegato alla sua identità biologica ma può essere orientato dallo sviluppo della sua personalità, una certa qualità relazionale di base caratterizza i raggruppamenti sociali e determina l’identità collettiva di famiglia, pubblico, gente, comitiva, assemblea, squadra, ufficio,…  

Le emozioni trasmutano l’una nell’altra e, a seconda delle sequenze delle loro componenti elementari (dinamica, eccitabilità e controllo) si confermano o si negano, si introiettano o proiettano, si associano o si dissociano. Anche le relazioni hanno le stesse proprietà trasformative ma, in più, possiedono la caratteristica di cambiare stadio (da primitive a oppositive a affini ed evolute) a seconda di alcune particolari condizioni.

Lo sforzo di procedere verso una teoria relazionale compiuta consiste nell’assemblaggio dei diversi filoni di ricerca avviati a partire dagli anni ’80. Il modello connessionista tra molteplici discipline si è sviluppato per passi successivi: dalla teoria fenomenologica dell’empatia, alle emozioni di base, ai copioni personologici, alle componenti elementari dell’azione comunicativa, agli assiomi della relazione fino alle personalità collettive.

Dunque in ogni identità collettiva c’è la prevalenza di certi tipi di qualità di relazioni, che possono essere rilevate attraverso la ricerca sul campo, e la media dei dati relazionali costituisce il parametro con cui si misurano le oscillazioni delle personalità collettiva di ogni singolo gruppo. Una prevalenza di relazioni di disponibilità affettiva interpersonale è un dato che è atteso all’interno di una famiglia ma che può pregiudicare il funzionamento sociale di una banda di guerrieri (un commando di guerriglia in linguaggio contemporaneo) o un consiglio degli anziani (un parlamento moderno o un consiglio di amministrazione).

Per relazioni primitive si intendono quelle in cui il contenuto dell’atto relazionale è identico nei diversi attori per cui si attua un rinforzo dei singoli atti in simmetria. Tali tipi di relazioni sono momentanee e possono essere considerate alla stregua di processi solo comunicativi senza ingenerare “sostanza” relazionale negli attori. Possono essere descritte come l’incontro tra due viventi che reagiscono mettendosi nella medesima posizione in reciprocità: due galli che cantano in successione, due cani che corrono nella stessa direzione, due sconosciuti i cui sguardi si incontrano in metropolitana ed ambedue abbassano gli occhi.

Le relazioni oppositive sono quelle in cui gli attori reagiscono all’atto comunicativo iniziale che innesca la relazione immedesimandosi nel vissuto comunicato dall’altro, riferendo cioè  quel vissuto alla propria esperienza e  quindi entrando in una emozione che sembra simile a quella percepita. Sempreché l’emozione sia  correttamente percepita poiché non è dato il fatto che l’emozione dell’altro sia già stata vissuta dall’uno.

 Questa disposizione relazionale pseudo imitativa produce  opposizione e tendenzialmente conflitto con l’altro. Le teorie del conflitto (interpersonale, gruppale, sociale, economico e politico) hanno sempre ben affrontato i “giochi” su cui si costruiscono i conflitti e gli equilibri che si formano. Manca però una scienza che studi lo sviluppo delle affinità e cioè su come si inneschino i processi collaborativi interpersonali. 

Le relazioni di affinità sono state introdotte nel modello teorico proprio per rendere chiara la possibilità negli esseri umani diventati persone la possibilità di vivere, gestire e godere di relazioni evolute.

L’affinità è la possibilità di sentire nell’altro qualche elemento che ci “innamora” poiché è una caratteristica che lui possiede e che a noi manca. La relazione “innamorante”, ovvero centrata sulla declinazione dell’empatia verso la simpatia (per le relazioni primitive o oppositive vale invece la declinazione verso l’apatia o l’antipatia), è l’innesco di un processo che può condurre verso la relazione evoluta o verso la ricaduta in una relazione oppositiva.

Le relazioni evolute sono centrate sull’empatizzazione autentica del vissuto altrui e cioè mediante la consapevolezza riflessiva di ciò che gli attori stanno vivendo. In tal processo sono in gioco sia l’empatia affettiva che l’empatia cognitiva. Per relazioni evolute si intende dunque la stabilizzazione delle diverse affinità e il traguardo di armonia derivante dalla possibilità di transitare  e permanere in tutte le diverse tipologie relazionali affini.

 Il nucleo della teoria è che i copioni individuali e le strutture sociali normative sono implementazioni dei tipi di relazioni innescate tra viventi. Questa affermazione radicale estende anche a tutta la sfera biologica il principio relazionale di cui l’evoluzione è frutto e conseguenza. Sono le relazioni che complessificano il vivente e lo conducono alla costituzione delle identità biologiche, corporee, coscienziali, sociali e spirituali ed anche le relazioni stesse evolvono a partire dalle meccaniche più primitive per tendere verso momenti di comunione sublimi.

 

 

CURRICULUM SCIENTIFICO E PROFESSIONALE DI VINCENZO MASINI

 ¨      Docenze:

¨      Professore  a  contratto presso  l'Università di Palermo negli A. A. 1981/82, 1983/84, 1984/85 con tre corsi: Sociologia, Sociologia Urbana e Rurale e Psicologia dell'ambiente

¨      Professore  a contratto di Sociologia presso  la  Scuola  per Assistenti Sociali della Libera Università di Trapani negli  A. A. 1982/83,  1983/84, 1984/85, 1985/86 dove è anche direttore  della Facoltà  di Ecologia (1983/84, 1984/85) e direttore del corso  di Aggiornamento  professionale del personale  amministrativo  della Provincia di Trapani (1983/84).

¨      Professore  a contratto di  Psicologia e di Sociologia  della  devianza presso la Scuola per Assistenti Sociali "S.  Silvia " di  Palermo dal 1986 al 1991

¨      Relatore al Corso di perfezionamento in Sociologia  Sanitaria, Università di Bologna (1986)

¨      Professore a contratto di Sociologia con un corso  monotematico "Le patologie urbane: la tossicodipendenza" presso l  'Università "La Sapienza" di Roma (1986/87)

¨      Professore invitato presso l'Università Pontificia  Salesiana di Roma di "Psicosociologia della tossicodipendenza ", "Psicosociologia della delinquenza minorile" e "Trattamento della  tossicodipendenza" dal 1985 al 2000.

¨      Vice direttore del curriculum universitario per  Operatori  di Comunità presso l'Università Pontificia Salesiana (1990-91 1991-92)

¨      Professore Invitato di Psicologia dell'emarginazione e  della tossicodipendenza  presso  l'Istituto Teologico di  Assisi  della Pontificia Università Lateranense (1988-89).

¨      Professore invitato presso la Scuola per Educatori Professionali  della Libera Università Maria SS. Assunta di Roma negli  anni 1991-92; 1992-93; 1993-94.

¨      Abilitato alla Professione di psicologo e Psicoterapeuta ed iscritto all’Ordine degli Psicologi del Lazio il 7 maggio 1995

¨      Professore di Psicologia Sociale presso la  Libera Università Maria SS. Assunta di Roma 1994/95, 1995/96 e 1996/97

¨      Abilitato alla Professione di Pedagogista dalla Associazione Nazionale Pedagogisti il 3 maggio 1997  Bologna

¨      Professore invitato di Pedagogia della Marginalità e della Devianza Giovanile presso la Libera Università Maria Santissima Assunta negli anni 1997/98 e 1998/99

¨      Professore a contratto di Psicologia delle interazioni in classe presso la SISS, Università del Lazio, A.A. 1999/2000.

¨      Docente al Corso “Analisi qualitativa e studi di qualità nei servizi”, Dipartimento Scienze dell’Educazione, Roma Tre, 2001

¨      Professore a contratto di Sociologia dell’educazione, Università di Tor Vergata, ASIS, A.A. 2000/2001.

¨      Professore a contratto di Psicologia dell'orientamento “Orientare e progettare” presso la SISS, Università del Lazio, A.A. 2000/2001, 2001/2002, 2002/2003, 2003/2004

¨      Professore invitato presso la SSIS della Toscana, per seminari su La sociologia della classe scolastica, 2001, 2002, 2003, 2004, 2005.

¨      Professore a contratto presso L’Università degli Stranieri di Perugia per l’Insegnamento di “Psicosociologia dell’ambiente e del Territorio”, A.A. 2002/2003; 2003/2004

¨      Docente al Master sulla Comunicazione, Università di Siena e Arezzo . A.A. 2002/2003, 2003/2004, 2004-2005.

¨      Docente di Psicologia della comunicazione, Facoltà di Farmacia, Università di Siena 2003-2008

¨      Professore a contratto presso L’Università Romatre per l’Insegnamento di “Sociologia dell’ambiente e del Territorio”, A.A. 2003/04; 2004-05.

¨      Docente di Comunicazione presso il Corso di laurea in “Biotecnologie per la salute umana”, Facoltà di Chimica, Università di Siena.

¨      Docente al Seminario “Medicina Narrativa”  nel corso di laurea specialistica in Sociologia della salute e degli stili di vita Facoltà di Scienze Politiche “R. Ruffini”, Università di Bologna, sede di Forlì, 2005-2006

¨      Docente di “Dinamica della classe e lavoro di gruppo” al corso abilitante precari, Università La sapienza Roma, 2005-2006

¨      Docente al seminario “Tipologie psicologiche e reati”  al Corso di laurea Specialistica della Facoltà di Giurisprudenza, Università di Siena, 2005-2006.

¨      Ricopre l’insegnamento di “Carattere e emozioni” presso il Corso di aggiornamento professionale in consapevolezza e comunicazione dei sentimenti e delle emozioni, presso il Corso di  perfezionamento/aggiornamento  “avanzato” in ”educare l’intelligenza emotiva e le abilita’ comunicativo-relazionali” e presso il Master "relazioni interpersonali, comunicazione, counseling" - Universita' degli Studi di Siena. 2005- 2006.

¨      Docente di psicologia della Comunicazione Università di Siena 2003 2009

¨      Docente di  Psicologia Generale, Università di Perugia 2006 – 2011

¨      Direttore della Libera Università del Counseling dal 2010

  

Incarichi e attività professionali

¨      Ricerca sulla diffusione delle tossicodipendenze, Cattedra di Sociologia del Prof. Fausto Galantino, “L’addict a Palermo” , diffusione del mercato, esposizione giovanile ed economia mafiosa, 1980.

¨      Eletto nella Giunta Esecutiva del Provveditorato agli Studi  di Palermo  e consultato dalla Commissione Legislativa della  Assemblea Regionale Siciliana (1981).

¨      Promotore della Associazione Lega contro la droga di Palermo e ideatore  e  realizzatore delle esperienze di  auto-aiuto  tra  i familiari di tossicodipendenti (1980).

¨      Svolge attività di psicoterapia individuale e di gruppo  presso i centri di recupero della Comunità Incontro dal 1983.

¨      Presentazione della ricerca quinquennale “I servizi nei quartieri di Palermo”, finanziata dalla Regione Siciliana, a  cui partecipano 25 ricercatori, coordinata e diretta da Vincenzo Masini, 1984.

¨      Nominato  membro  della Consulta Regionale  Siciliana  per  la Prevenzione delle tossicodipendenze (1984)

¨      Coordina la ricerca triennale (1986,1987,1988) promossa  dalla Fondazione  Zancan sull'abuso di droghe, alcool  e  psicofarmaci organizzata  con  la Scuola di Servizio Sociale "S. Silvia  "  di Palermo.

¨      Ricercatore   dell'Istituto  Superiore   di   Sanità, Roma,  nel 1988,1989,1990 per una ricerca sulla valutazione della evoluzione della infezione da HIV e HVB in soggetti a rischio  tossicodipendenti.

¨      Direttore della Università dell'Uomo, scuola di formazione dei responsabili dei centri di recupero della Comunità Incontro (1983 fino  a  tuttora  ) ed organizzatore dei  Convegni  Nazionali  ed Internazionali della Comunità Incontro ( Impegno e Fedeltà  1984; Noi  e  Loro , 1985; Comunità: quale futuro ?,  1986;  Lotta  alla droga  senza  frontiere  , 1987; Dalla Sicilia e  da  Palermo  un messaggio  di vita e di speranza , 1988; Famiglia Comunità  1989; AIDS  Famiglia  Comunità Società, 1990;  Il  Volontariato,  1991; Volontariato, 1993 )

¨      Ricercatore per la Fondazione LABOS per la ricerca "Processi di lavoro e stress lavorativo nelle comunità di recupero per  tossicodipendenti", 1994 1998.

¨      Relatore al 1°, 2° e 3° Corso per operatori delle tossicodipendenze  presso  l'Istituto  Superiore  di  Sanità,  Roma  (1985, 1986,1987).

¨      Relatore al Seminario sulle Metodologie di lavoro nelle comunità residenziali per tossicodipendenti, organizzato dal  Ministero della Sanità, Roma, 1987.

¨      Nominato con D. M. del Ministro della Sanità membro esperto del Comitato Operativo Tossicodipendenze il 16 marzo 1987.

¨      Ascoltato come esperto dalle Commissioni Parlamentari Giustizia e Sanità in occasione del dibattito per la riforma  della  legge sulla droga

¨      Membro del Comitato Nazionale di Promozione Sportiva nelle Comunità, Coni

¨      Nominato con D.M. 2 ottobre 2002, esperto presso il Ministero del Lavoro e degli Affari Sociali, Membro della Commissione Nazionale Tossicodipendenze, 2003 e attualmente presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, 2005.

¨      Ha lavorato come formatore e ricercatore sulle personalità collettive di gruppo, sul burn out degli operatori e sul mobbing presso il Dipartimento di Scienze della Formazione, Università RomaTre, La Scuola di Formazione del Ministero di Giustizia, Ufficio Minori, Messina. Tali modelli sono stati applicati nella gestione del personale e nella analisi aziendale.

¨      Ha proseguito nelle attività di prevenzione e di orientamento gestite dallo S.A. Prevenire è Possibile  in particolare con l’Associazione Industriali di Arezzo per la gestione del progetto FSE sull’Obbligo Formativo e sull’orientamento, Arezzo, 2001 – 2005, con la Provincia di Lucca su “Come farsi amare dai figli”, Lucca 2001 – 2003, con l’IRRE Toscana per la valutazione della qualità nelle scuole, Progetto AQUA-EFQM.

¨      Formatore per la SASDL di Bologna su Il miglioramento relazionale (2005), Counseling organizzativo e miglioramento della leadership (2006), Psichiatria narrativa. (2007)

¨      Ricopre l’insegnamento di “ Carattere e emozioni” presso il Corso di aggiornamento professionale in consapevolezza e comunicazione dei sentimenti e delle emozioni, presso il corso di perfezionamento/aggiornamento “ avanzato” in “ educare l’intelligenza emotiva e le abilità comunicativo-relazionali” e presso il Master  “relazioni interpersonali, comunicazione, counseling”, Università degli studi di Siena, anni 2005-2006.

¨      Master in Comunicazioni e Relazioni Interpersonali e Counseling Dipartimento di Studi Storico Sociali e Filosofici Università di  Arezzo, 2006

¨      Direttore delle scuole di Counseling Prevenire è Possibile a Lucca, Grosseto, Arezzo, Roma e direttore della commissione Counseling della Federazione Associazioni Italiane di Psicoterapia, 2004 e membro del direttivo nazionale della Federazione Associazioni Italiane di Psicoterapia.

¨      In continuità con le precedenti attività nel settore della salute inizia a collaborare con un gruppo di medici di base sulla comunicazione medico-paziente, sviluppa una ricerca sulla Medicina Narrativa  (il volume è pubblicato su Angeli), organizza il convegno su “La co -relazione  tra  farmacista,  informatore  e  medico:   tre  co - operatori per un corretto  uso  del  farmaco”, diventa formatore per i medici di base sulla comunicazione medico – paziente della ASL 9, Grosseto, partecipata come relatore e numerosi convegni (tra cui il Convegno Nazionale di psicoterapia Medica) e, come membro della Società Italiana di Sociologia della Salute, si occupa di counseling medico.

¨      Esperto per le consulte provinciali del Lazio in counseling scolastico. 2006.

¨      La comunicazione medico paziente, corso di formazione e aggiornamento per medici, asl 9 Grosseto, 2006.

¨      Docente al Corso Dinamiche della classe scolastica. Universita’ Studi Romatre. 2006.

¨      Corso COMUNICARE CON EFFICACIA, Facoltà di Farmacia, Università di Siena, 2006.

¨      Progetto Accoglienza, Orientamento e Consulenza Valtiberina Assoservizi Srl, Arezzo, 2006.

¨      Progetto Sale di Famiglia Comune di Marsala, 2006

¨      Direttore progetto Prevenire è Possibile, Comune di Ispica, RG, 2006.

¨      Corso “Orientare e progettare”, SSIS Università di Romatre, 2006

¨      Esperto per Il Comune di Tolentino, Fondazione Carima e Comunità Montana di Camerino per counseling di orientamento 2006

¨      Ricercatore per la Wyeth Lederle SPA sulla psicosomatica della Psoriasi, 2006.

¨      CORSO DI FORMAZIONE RESIDENZIALE “Sei capace di essere libero’ Ufficio Scolastico Regionale Lazio,  Fiuggi 2007

¨      La cura terapeutica in Relazioni e Cura, Università di Perugia, 2007

¨      Autore per l’IPSOA, Wolters Kluver,  della ricerca su la Psicologia dell’imprenditore nella crisi dell’impresa.2007.

¨      Artrite Reumatoide: percorsi assistenziali“Sudler & Hennessey  Roma 2007

¨      Psicoterapia Implicita e counseling relazionale, Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura, Azienda USL BOLOGNA, 2007.

¨       MEDICINA NARRATIVA in Il bisturi e la parola. Medicina dell’evidenza e medicina della narrazione. Associazione Triangolo Volontariato e assistenza per il paziente oncologico. Fondazione di ricerca psicooncologica. Lugano 2008.

¨      Progetto di Counseling Scolastico “UNA SCUOLA ANTIBUROCRATICA è POSSIBILE” USP Arezzo

¨      Counseling e Investigazione. Master Investigazione. Dipartimento Di Diritto Pubblico, Siena, 2008

¨      Relatore al XXX Convegno Mondiale di Medicina Estetica, 2008

¨      Counseling Scolastico per l’intervento nella dislessia, Scuola D’Ovidio, Campobasso, 2008

¨      Prevenzione Del Disagio E Lotta Al Bullismo” Direzione Didattica Statale "L. Capuana" Aragona (Ag) 2008

¨      Corso di Formazione sul Bullismo. Avvio del primo Laboratorio di Educazione alla Non- Violenza “Un progetto contro la violenza in tutte le sue forme -Prevenzione del Bullismo Educazione alla legalità”. I.T. C. – I. P.S. A. A. – I. P. S. S. A. R. 2008

¨      Pedagogia Delle Classi Scolastiche, Istituto D’ist Insegnare ad apprendere sperimentando”V Circolo Didattico Statale Verga Agrigento 2008

¨      Pedagogia Delle Classi Scolastiche, Istituto D’istruzione Superiore, “Carlo e Nello Rosselli”, Aprilia (Lt)2008

¨      Progetto Consulta Liceo Scientifico Statale F. Severi, 2008

¨      I Valori Nel Protagonismo Dei Giovani, Liceo Scientifico Statale, Leonardo Da Vinci, Sora, 2009

¨      Progetto L’abbraccio , Istituto Comprensivo Camigliano, Lucca, 2009

¨      Educazione: Focus Sul Disagio E Sul Bullismo , Ufficio Scolastico Regionale Del Lazio, 2009

¨      Corresponsabilita’: Come Costruire Modelli Di Intervento Ufficio Scolastico Regionale Del Lazio, 2009

¨      Relatore al Convegno dell’Istituto Superiore di Sanità su Medicina Narrativa e Malattie Rare, 2009

¨      Membro del Comitato scientifico della Società di Medicina narrativa, dal 2009

¨      Formazione e sportello psicopedagogico Direzione Didattica Lucca 3, 2010

¨      Competenze per lo Sviluppo, Ist. Comprensivo “Pipitone” Marsala 2010

¨      Ricerca Sul Counseling In Italia, Job Analisys And Research On Counselor’s Profession, Nbcc International-Europe, 2010

¨      Progetto Pia – Legalità “Cittadini di domani –Legalità e cittadinanza democratica” Direzione Didattica Statale Lucca Sesto, 2010

¨      Conferenza Su Educazione Allo Sporto O Sport Come Educazione, Comune Di Montevarchi , Ufficio Sport, 2010

¨      Organizzatore della ricerca, del corso di formazione per medici di medicina generale e diabetologi con ECM e del convegno di presentazione su “Counseling, narrazioni di malattia e nuove terapie per il paziente diabetico” ed ideatore del video (http://www.youtube.com/watch?v=EnV3MB3zOI4)

¨      Gestisce il laboratorio di Medicina Generale in “Le parole della cura, Medicina Narrativa: Medici e psicologi a confronto”, Università degli Studi di Firenze, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Facoltà di psicologia, Ordine degli Psicologi della Toscana, Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri della Provincia di Firenze, 2010

¨      Presidente del Consorzio per la Libera Università del Counseling, 2010

¨      Corso formazione e aggiornamento per unità operative educazione alla salute con laboratori di prevenzione dell’ansia, panico e fobia, dei disturbi del sonno e del sogno, dei disturbi alimentari,  delle difficoltà nello studio, dei disturbi del linguaggio e dei movimenti stereotipati (tic), del gioco d'azzardo, delle tossicodipendenze, dei disturbi della sessualità, delle depressioni. Asl di Agrigento, 2011

¨      Corso di medicina anti-aging, Fondazione Internazionale Fatebenefratelli, Roma, 2011

¨      Medicina narrativa e diabete mellito “Focus on: diabete tipo 2, tra vecchi problemi e nuove soluzioni” Livorno 2011.

¨      Relazione di apertura al convegno “La saggezza di prevedere e il coraggio di prevenire”, Associazioni Prepos, Crescere, Fondazione Paoletti, Dialogos, Alethes, Evolvere, Il Calicanto, Maithuna, Centro Studi Baktivedanta, Comune di San Giovanni Valdarno, Provincia di Arezzo, San Giovanni Valdarno 2011.

¨      Difficolta’ Di Apprendimento, Direzione Didattica 7° Circolo – Lucca, 2011

¨      Il counseling scolastico, Istituto Comprensivo Statale Di Bagni Di Lucca 2011

¨      La comunicazione educativa Istituto Tecnico Majorana di Bergamo, 2011

¨      Medicina Narrativa e Counseling relazionale in Narrazione e scrittura in medicina e psicoterapia, Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri Foggia, 2011

¨      Lectio Magistralis al Convegno La Consapevolezza, Pescia, 2012

¨      Quel male oscuro chiamato Depressione, Cooperativa Impresa Sociale Ruah Bergamo, 2012

¨      Progetto sportello ANTICRISI” SOCIALNET , CNA Arezzo 2012

¨      Quell’infelicità chiamata depressione…il sostegno del counseling, Conferenza Campobasso Ass. Gen Dis. 2012 

¨      Quell’infelicità chiamata depressione…il sostegno del counseling, Conferenza Cuneo, 2012.

¨      Quell’infelicità chiamata depressione…il sostegno del counseling, Conferenza Copp Ruah, Bergamo 2012

¨      Quell’infelicità chiamata depressione…il sostegno del counseling, Conferenza coop Don Aldo Mei, Lucca 2012

¨      Quell’infelicità chiamata depressione…il sostegno del counseling, Conferenza Libreria incontro, Catanzaro 2012

¨      Seminario Incontro su Il Counseling nel mondo con National Board for Certified Counselors , Roma

¨      Relatore su Il Counseling Economico ai seminari del CNA 2011 – 2013 (Arezzo, Macerata, Grosseto, Bergamo)

¨      Docente Corso di formazione “Alternanza scuola lavoro” presso ITC Grosseto 2013

¨      Delegato all’UNI per la costruzione delle norme sulle Nuove Professioni ex lega 4/2013

¨      Conferenze presso: Fivol Campobasso,  Nomadelfia Grosseto, CNA Arezzo su Conseling economico e crisi dell’impresa

  

PUBBLICAZIONI DI VINCENZO MASINI

 

  1. Verso una sociologia a quattro dimensioni, in Droga, dal ghetto all’impegno collettivo, Segno n. 31-32, Palermo, 1982
  2. Sociologia di Sagunto: una analisi sulla penetrazione mafiosa nella P.A. di Palermo, , F. Angeli , Milano, 1984, pag. 165
  3. Sociologia  del potere mafioso in Mafia Vecchia,  Mafia  Nuova F. Angeli, Milano, 1985, pag. 79- 94
  4. Movimenti  e istituzioni: il ruolo dei  gruppi  di  interesse, Segno n. 36, Palermo, 1983
  5. Volontariato e complessità sociale, Segno n.  51-52,  Palermo 1984, pag. 81-108
  6. Integrazione  dei  servizi sociali e  sanitari  Rivista  della Libera Università di Trapani, n. 3, Trapani, 1983
  7. Informatica  -  politica - lavoro - territorio  -  economia  - scienza:  alcune possibili regolazioni negli scenari del  futuro, Rivista  della  Libera  Università di Trapani, anno  IV,  n.  10, Trapani, 1985, pag. 175 - 202.
  8. Immaginazione sociologica e servizi socio-sanitari: il  modello comunità terapeutica e le sue potenzialità applicative, in Salute e Complessità Sociale, F. Angeli, 1986, pag. 448-470.
  9. Verso un'agenzia per la regolazione della complessità  istituzionale, Segno n.74, 1987, Vincitore del Premio Speciale, "Cultura e Comunità" 1989. pag. 39-60
  10. La nuova professionalità dell'Assistente Sociale in Esperienze Sociali, n.54, Palermo 1987, pag. 62-85
  11. Un lavoro sommerso nell'arcipelago urbano  in  Palermo oltre Sagunto, Segno, n. 93, Palermo, 1988
  12. Il significato storico e politico del volontariato Atti  della Conferenza  Nazionale  "Solidarietà e Sviluppo",   Assisi,  1988, Presidenza del Consiglio dei Ministri e Ministero Affari  Speciali, Roma 1989
  13. Il sociologo come interfaccia tra comunicazioni di comunità  e istituzioni sistemiche, La Ricerca Sociale, 41, F. Angeli,  Milano, 1989, pag. 115-130
  14. L'ultimo è la bussola del volontariato, Animazione  Sociale, n.16, 1989
  15. La formazione umana, relazionale e sociale  dell'Assistente Sociale Esperienze Sociali, n. 63, 1991, Palermo
  16. Palermo:  Quartieri e Servizi, Centro Studi "Città per  l  ' Uomo", Palermo 1985, pag. 850
  17. Appunti di sociologia urbana Istituto di urbanistica e pianificazione territoriale, Palermo, 1981, pag. 1-31
  18. I  servizi nei quartieri di Palermo, in Sociologia  Urbana  e Rurale, F. Angeli, Milano, 1984, pag. 345-356
  19. Ecologia: apriamo un dibattito, Rivista della Libera Università di Trapani, anno II, n.5, Trapani, 1983, pag. 11-15
  20. Spazio vissuto, aggregazione sociale e quartieri, La  Fardelliana, n. 2-3, Trapani, 1983, pag. 1-15
  21. Centro Storico: monumento di spazio vissuto e di  vita associativa  Atti del Convegno Nazionale di Studi sul centro  Storico di trapani, Trapani, 1984, pag. 59-75
  22. Nuove economie post-industriali, E.M.S. Informazioni,  n.7-8, Palermo 1984
  23. Nuove Metodologie  di raccolta dati nelle analisi di  sociologia  urbana e negli studi di psicologia dell'ambiente  Atti  del Simposio  Nazionale sui Sistemi Informativi Urbani,  Istituto  di Urbanistica e Pianificazione Territoriale, Palermo, 1984
  24. Scienza - Informatica: è possibile una regolazione in verdi  e Informatica: idillio o scontro ? Atti del Convegno nazionale  del Centro Documentazione Energia, Palermo, 1984
  25. Palermo: alla scoperta della città meridionale in  Società  e Territorio,  n.  5, a cura di G. Elia e  F.  Martinelli,  Bulzoni Editore, Roma, 1986, pag. 57-76
  26. I processi di comunicazione Istituto di urbanistica  e pianificazione territoriale, Palermo, 1980, pag. 1-16
  27. Il lavoro di gruppo in Facoltà di Architettura: un'esperienza concreta o una retorica? Quaderno dell'Istituto di Urbanistica e Pianificazione Territoriale, n.8, Palermo, 1981
  28. La gestione e la creazione dei valori come elemento di  determinazione storica in Max Weber Istituto di urbanistica e pianificazione territoriale, Palermo, 1981, pag. 1-15
  29. Il problema della filosofia nel marxismo occidentale  Istituto di urbanistica e pianificazione territoriale, Palermo, 1981,  pag. 1-7
  30. Lezioni di psicologia sociale Istituto di urbanistica e pianificazione territoriale, Palermo, 1981, pag. 1-40
  31. Osservazioni in margine ad una discussione sui disturbi  della comunicazione  Istituto di urbanistica e pianificazione  territoriale, Palermo, 1981, pag. 1-15
  32. Brevi considerazioni in tema di adozione speciale ( a cura  di ), Corso di Sociologia , Università di Palermo, 1983
  33. Epistemologia  della ricerca: è un'ennesima retorica  o  un'attività  creativa?, Rivista della Libera Università di  Trapani, Anno 11, n. 4, Trapani, 1983, pag. 1-15
  34. Argomenti di sociologia,  Istituto di  Urbanistica,  Palermo, 1984, pag. 172
  35. I volti, i nomi e la storia di 25 anni di Comunità  Incontro, Editrice La Parola, Roma, 1987, pag. 370
  36. Comunità: Quale futuro? Editrice Europea, Roma, 1988, pag. 426
  37. Considerazioni teoriche sui problemi derivati dall'assunzione di stupefacenti alla luce e nel corso della esperienza psicoterapeutica  con  una  giovane tossicodipendente: il  caso  di  G.A., Centro di Documentazione di Porta Soprana, Genova, 1979,  ristampato a cura del Corso di Sociologia, Università di Palermo, 1981
  38. Famiglia,  ambiente e comportamento dell'addict  a  Palermo, Cattedra di Sociologia, Università di Palermo, 1981, pag. 59-92
  39. Bibliografia su Droga e Tossicodipendenza Centro Siciliano  di Documentazione Giuseppe Impastato, Palermo, 1982 ( in coll.)
  40. Fasi, strutture e terapie per il recupero dei tossicodipendenti, Cattedra di Sociologia, Università di Palermo, 1983, pag.  55-112
  41. Verso una sociologia a quattro dimensioni in  Segno  n.31-32, Palermo ,1982, pag. 51-60
  42. Proposte  di impegno sociale e di lavoro  per  gli  operatori della  scuola che rifiutano l'inerzia di fronte  alla  crescente diffusione delle tossicodipendenze, Lega contro la droga,  Palermo, 1983
  43. Dalla droga si esce Segno n. 46-47, Palermo, 1984
  44. Comunità Incontro: una proposta di vita , Roma, 1985
  45. Le comunità sono una proposta per il cambiamento della qualità della  vita Atti del Convegno " Modelli di Comunità  Terapeutiche ed  intervento legislativo della Regione Siciliana"  International Association of Lions Clubs, Palermo, 1985
  46. Riformare  la legge 685 Edito dalla  Comunità  Incontro  come supplemento alla rivista "Il Cammino", n.3, 1986 ristampato nella Rivista della Libera Università di Trapani, n. 17, 1987
  47. La  tossicodipendenza è un momento  di  transizione,  Rivista della Libera Università di Trapani, anno V, n. 14, Trapani, 1986, pag. 5-34.
  48. Comunità Terapeutiche e servizi pubblici in Autonomie Locali e Servizi Sociali, Serie Nona, n. 3, Il Mulino, 1986
  49. Dossier  su metadone e psicofarmaci  Università  dell'  Uomo, Comunità Incontro
  50. Cinque tesi sulla droga, in Essere, anno IV, n.1, 1988
  51. Follow-up of a cohort of ex IVDAS resident  in Therapeutical Communities  in Italy ( in coll.), V International Conference  on AIDS, Montreal, 1988
  52. Tendenze e linee di sviluppo delle  comunità  residenziali e dei rapporti con gli enti pubblici, Bollettino  Farmacodipendenze e Alcoolismo, Ministero sanità, n. 1-2 , Roma, 1988
  53. La risposta all'emarginazione, al disagio ed alla  solitudine è fare comunità tra gli uomini, Camminiamo Insieme, Aprile, 1988
  54. Informazioni  per  le  famiglie , "  La  famiglia",  n.  146, apr.1991,  ed. La Scuola, Brescia e ristampato a cura  di:  Lions Club  di San Severo, Bari; Associazione Porta Aperta  ,  Foligno; Comune  di  Marino, Roma; Associazione VITA,  Fermo,  Ascoli Piceno;  Commissione Sanità, UIL, Roma; Comune di  Solarino,  SR; Caritas Diocesana di  Siracusa; Gruppo Ascolto Melegnano, Milano; Associazione  Insieme,  Viareggio;  Casa del  Sole,  Benevento  e Napoli;  Gruppo Tre Gabbiani, Salerno; Gruppo  Ascolto  Pozzallo, Ragusa;  Comune di Cava De' Tirreni (SA); Comunità  Mondo  Nuovo, Civitavecchia;  Associazione  AVET, Genova; Ce.M.S.  e  Banco  di Sicilia;  Corriere dell' Umbria - inserto -;  Associazione  Vita; Chianciano;  Associazione Sarzanese di Solidarietà.
  55. Tradotto  in Spagnolo  "Decalogo  de  la droga, Informacion  a  las  familias" Diputacion del Albacete, Espana,
  56. Tradotto in  Inglese e Thailandese a cura della Comunità Incontro sede  di Lamsai, Bangkok, Thailandia e in Croato, Comunità Incontro,  sede di Spalato.
  57. Sul web in http://digilander.libero.it/arcobal2000/info_famiglie.htm.
  58. Empatia e linguaggio Gli Annali dell ' Università per Stranieri n.13, luglio-dicembre 1989, Le Monnier, Firenze, p.107-132
  59. Le strategie di recupero nella Comunità Incontro,  Esperienze Sociali, n. 60, Palermo , 1990, pag 64-76
  60. Tossicodipendenza  e  lavoro, in Studi  Sociali,  n.9,  1990, Edizioni Dehoniane, Roma
  61. La prevenzione della tossicodipendenza nella scuola  Comitato Antidroga dell'Unione Commercio di Perugia, PG 1991
  62. L'identità, Orientamenti Pedagogici,  Rivista internazionale di Scienze dell'educazione, n. 221, 1991, Roma
  63. Droga  Disagio Devianza: dalla  comprensione  al  trattamento IFREP, Roma, 1992, pag. 344
  64. La Formazione alla Responsabilità, Scuola Formazione Responsabili, Comunità Incontro, 1991
  65. Le  comunità per tossicodipendenti ( in coll. ) Labos, Edizioni T.E.R., Roma, 1994.
  66. La diversa vita degli ammalati di AIDS Sanare Infirmos,  Rivista quadrimestrale dell'Istituto Scientifico H San Raffaele,  n. 14, marzo 1993, Milano
  67. L'Università dell'Uomo Il Cammino, n.2/93, Roma
  68. Dossier: Prevenire è possibile, Il Cammino, n. 3/93, Roma
  69. L'empatia nel rapporto educativo di orientamento e di  aiuto e  le strategie della prevenzione, La condizione giovanile,  problemi  e prospettive, Provveditorato agli Studi di Terni,  Terni, 1993
  70. Prevenire è Possibile, Edizioni Casa nel Sole, Benevento,1993
  71. Famiglia e Comunità, Comunità e famiglia: attese conflitti  e cooperazione,  Atti della XV Conferenza Mondiale  delle  Comunità Terapeutiche, Federazione Mondiale delle CT, Venezia, 1993
  72. Apertura del 12° Convegno internazionale della Comunità Incontro: Il volontariato Cattolico, in Il Cammino, n.5, 1993.
  73. Famiglia  e  tossicodipendenza: il  contributo  delle  teorie relazionali, Orientamenti Pedagogici, Anno XLI, n. 6, Roma, 1994.
  74. "Prevenire è Possibile", in Atti del Corso di formazione  per operatori  pubblici e del volontariato, Edizioni Casa  nel  Sole, 1993, Benevento, seconda edizione in occasione della  istituzione de "I Cavalieri di San Valentino", Centro Stampa Ateneo  Salesiano, Roma, 1995
  75. Il  volontariato nella seconda repubblica, Il  Cammino  n.5, Roma, 1994
  76. Responsabilità, Edizioni Comunità Mondo Nuovo, 1994,  Civitavecchia, 1994
  77. La cultura della droga in 1 Meeting Internazionale  "Rainbow", San Patrignano, 1995
  78. Comunità: quale futuro, Il Cammino n.2, Roma, 1995
  79. Dalla classe al gruppo: indagine sulla personalità  collettiva di 207 classi, Provveditorato agli Studi di Terni, Terni, 1995
  80. La relazione con portatori di handicap, Congresso  Internazionale  Handicap, realtà cliniche, sociali e istituzionali a  confronto, ANMIC, Terracina, 1995
  81. La sfida educativa internazionale del recupero dalla droga  in  Atti  del Congresso Internazionale "Community  Without  Borders", Nakorn Nayok, (Bankog-Thailand), May, 1995
  82. L'empatia nel gruppo di incontro, Istituto di Sociologia Don luigi Sturzo, Caltagirone, 1996
  83. Il lavoro educativo sul disagio e sulla tossicodipendenza, 16° Convegno Internazionale della Comunità Incontro, “Volontariato Cattolico”, Roma, 1997
  84. Prevenire è possibile in Lo Sport contro la droga, C.O.N.I., Roma, 1997
  85. Voci “Devianza”; “Emarginazione”; “Violenza”; in Prellezo, Nanni, Malizia, Dizionario di Scienze dell’educazione, EELE DI CI, LAS, SEI , Torino, 1997
  86. Personalità collettive, valori ed economie nel terzo settore in Interessi, valori e società (a cura di ) A. Gasparini, Franco Angeli, Milano, 1998
  87. L’artigianato educativo e la pedagogia dei gruppi nella scuola, nella famiglia, nelle comunità, Ed. Prevenire è Possibile, Todi, 1999
  88. Dalle Emozioni ai Sentimenti, Edizioni Prevenire è Possibile, 2000
  89. Progettare e orientare nella scuola dell’autonomia, SSIS del Lazio, Cd rom,2001
  90. Certificazione, Accreditamento e  Qualità "...gli esami non finiscono mai...", su Approfondimenti in Vertici News
  91. Gli attentati ai sentimenti, su Encanta, La forma delle idee, giornale web
  92. La gratificazione, su Encanta, La forma delle idee, giornale web
  93. Il sostegno, su Encanta, La forma delle idee, giornale web
  94. Sollevare gli altri, su Encanta, La forma delle idee, giornale web
  95. Diventa una spugna, su Encanta, La forma delle idee, giornale web
  96. Coinvolgimento emotivo, su Encanta, La forma delle idee, giornale web
  97. L'insegnamento, su Encanta, La forma delle idee, giornale web
  98. Intrappolato dalla vita, su Encanta, La forma delle idee, giornale web
  99. L'incoraggiamento, su Encanta, La forma delle idee, giornale web

100. Il rimprovero, su Encanta, La forma delle idee, giornale web

101. La qualità educativa, relazionale e dell’apprendimento nella scuola, Edizioni Prevenire è Possibile, 2001

102. La diversificazione dei percorsi di prevenzione e di reinserimento lavorativo a seconda delle tipologie di tossicodipendenza, Istituto Italiano di Medicina Sociale, Roma, 2001

103. Lo stress da lavoro nell'operatore funebre, (in coll. con G. Quaglia) in Oltre Magazine,  numero 10 - Novembre 2002

104. Lo stress da condominio, Relazione presentata al Convegno Nazionale ANACI, Il Corriere della Sera, del 27.05.2002.

105. Un modello relazionale per la valutazione della qualità, in www.spc.it/extra/approfondimenti

106. Affinità e opposizioni, Per un agire comunicativo mirato all’intesa ed alla regressione del conflitto, Relazione presentata al Convegno Comunicazione e risoluzione dei conflitti, Università di Arezzo, 2002

107. Idealtipi di religiosità e dialogo interreligioso, in Berti, De Vita, Pluralismo religioso e convivenza multiculturale: un dialogo necessario, Angeli, 2002

108. Masini V., Vicentini M., L’apprendimento negli esperimenti mostrativi, Università e Scuola, Concured, 2003

109. Relazionalità e cultura del civile, in Melchior C. (a cura di) , La rappresentazione dei soggetti collettivi, A.I.S., Udine, 2003

110. Le personalità collettive nel gruppo di lavoro, in Sociologia, n.2, 2003.

111. Intelligenze e comunicazione, Dipartimento di Fisica, Università La Sapienza, www.phys.uniroma1.it/web_disp/d4/dispense/comunicazione/Intelligenze.pdf

112. I Sentimenti dei pellegrini, in Cipriani R., Giubilanti del 2000, Angeli, Milano, 2003.

113. Medicina narrativa, Angeli, 2004.

114. Psicoterapia implicita nella comunicazione narrativa, simbolica e interattiva con il paziente in Atti del 37° Convegno Nazionale della Associazione Italiana di Psicoterapia Medica, 2004.

115. Personalità collettive di condominio, intervista su Focus, maggio, 2005.

116. Affinità ed opposizioni nelle religiosità, in De Vita, Berti, Naso, Identità multiculturale e multireligiosa. La costruzione di una cittadinanza pluralistica, Angeli, 2004.

117. L’educazione e la didattica appropriata per ciascuna personalità collettiva di classe scolastica, Istituto di Tecnologie Didattiche del CNR, n.3, 2004.

118. Prefazione a Silvana Gonnelli Coli, La prima lettera dell’alfabeto, Editrice EFFEQU, Roma, 2005.

119. Valutazione della qualità relazionale e  predittività del burn out e del mobbing nei gruppi di lavoro dei servizi per la giustizia minorile, (in coll.), Rassegna di Servizio Sociale, N.2 2005.

120. Cultura dello sballo e realtà del dolore, discussione sul testo della legge sulla droga, in IL Cammino, anno X, n. 3

121. Come e perché l’orientamento è diventato il teorema attorno al quale si riscrive oggi molto della pedagogia, in Orientare Perché a cura di M. Martelli, Sansepolcro, 2005.

122. La famiglia e le reciprocità in Orientamento e Counseling famigliare  nella scuola, a cura di Emanuela Mazzoni, Valdarno, 2005

123. Formazione alle abilità comunicative e relazionali di base del Tutoring, Mentoring, Coaching e Counseling, in Orientamento e Lavoro, a cura di Lorenzo Brbagli, Casentino 2005.

124. Narrative medicine e medicine alternative nella percezione degli studenti di medicina (in coll. con Masini Daniele), Salute e Società, dic. 2005.  

125. Il contributo delle scienze sociali all’analisi della crisi dell’impresa in S. Pacchi (a cura di) , Il Nuovo Concordato Preventivo, IPSOA, Trento,  2005.

126. Vincenzo Masini , Relazioni di personalità collettiva, equilibrio, empatia sociosistemica e governance, in Riccardo Prandini La realtà del sociale: sfide e nuovi paradigmi, Angeli, 2005

127. Il counseling medico e la prevenzione in cardiologia, (in coll.) Atti del convegno La prevenzione in cardiologia, Asl9 Bologna, 2005.

128. Narrative medicine e medicine complementari nella percezione degli studenti di medicina, (in coll.), in Secondulfo D., Medicina/Medicine. Le cure "altre" in una società che cambia

129. Dizionario essenziale di counseling (in coll), Edizioni Prevenire è Possibile, Arezzo, 2006.

130. Gruppi e Personalità in Counseling, orientamento e classi, Ed. prevenire è possibile, Arezzo, 2006

131. Psicologia generale transteorica (in coll.) , Edizioni Prevenire è Possibile, Univ. Studi di Perugina, 2007

132. Intelligence: cospirazione terroristica e anime borderline, Ed. Fermento, 2007

133. Presentazioni a Gnosi te ipsum di  Edy Salvadori, Ed. Prevenire è Possibile, Arezzo 2007

134. I risvolti operativi del counseling: coaching, metiation, mentoring e tutoring (in coll.) , in CREDES Atti del convegno Relazioni che aiutano, Milano, 2007

135. Il counseling scolastico, Ed. Prepos, Arezzo 2008

136. Dai valori alle relazioni interpersonali, Atti per Convegno Relazioni e valori, Università di Perugia, 2007

137. Medicina Narrativa e counseling relazionale, Atti del convegno Relazione e cura, Università di Perugia, 2008

138.                        Dalle Emozioni ai sentimenti, (riedizione rivisitata), edizioni PREPOS, 2009

139.                        Job Analisys And Research On Counselor’s Profession, NBBC INTERNATIONAL

140.                        Dispense sul counseling (www.prepos.it)

141.                        Miglioramento relazioni interpersonali nel gruppo classe, in L cultura della legalità, Ministero Istruzione, Università e ricerca, Roma 2010

142.                        Medicina Narrativa e counseling in medicina generale, Istituto Superiore di Sanità, Marzo 2010

143.                         Psicoterapia implicita nella comunicazione narrativa, simbolica e interattiva con il paziente, Associazione Italiana di psicoterapia Medica (in corso di stampa)

144.                         Psichiatria narrativa e counseling relazionale, Salute e società, n. 34, Franco Angeli, 2010

145.                         (in coll.) Semeiotica per il counseling relazionale Ed. Prepos. Collana di ricerche della Libera Università del Counseling

146.                        Agape e affinità intenzionale, in SOCIALONE Agire agapico e scienze sociali, Castelgandolfo 6 giugno 2008, http://www.social-one.org/it/component/docman/cat_view/47-seminario-2008.html

147.                        V.Masini, La narrazione della confidenza con il cibo come nucleo interpretativo dei disturbi alimentari, Riv: Med. narr, 1 2011

148.                        V.Masini, Disagio psicologico e invecchiamento, Ed. Salus, Roma, 2011

149.                        Lectio Magistralis “La consapevolezza, Ed. Prepos, 2013

150.                        Dizionario di counseling relazionale e personologico, ed Montag,2013

151.                        L’irradiazione Affettiva, Ed. La Bancarella,2013

152.                        Modello prepos, Ed. Montag, Macerata

153.                        (in coll) Basi per una psicologia personologica e relazionale

 

SCHEDA SINTETICA SU VINCENZO MASINI

 

Vincenzo Masini, 66 anni, genovese, sociologo, psicologo, psicoterapeuta e counselor. E’ stato professore presso l’Università di Palermo, Trapani, Roma “La Sapienza”, Università Pontificia Salesiana, LUMSA, SSIS del Lazio e della Toscana, Università di Siena e Università di Perugia. Studia i processi di relazioni interumane, i conflitti e le affinità interpersonali dagli anni ’80 a partire dall’analisi dei processi criminali (1984, Sociologia di Sagunto: le tipologie di comportamento mafioso, Angeli), devianti e di patologia psicosociale (1993, Droga, Disagio, Devianza, IPREF). Ha analizzato i percorsi di uscita dal disagio nei gruppi sociali (Le  comunità per tossicodipendenti, Labos, Ed. T.E.R.; Comunità Terapeutiche e servizi pubblici, Il Mulino;) attraverso l’interazione empatica e linguistica (Empatia e linguaggio, Università per Stranieri, Le Monnier,) e la ricomposizione nelle personalità collettive di gruppo (Personalità collettive in Interessi, valori e società, Angeli).  

Dirige il progetto nazionale Prevenire è Possibile ed è membro del National Board for Certified Counselor International.

Il successo del volume “Dalle emozioni ai sentimenti”, che ha una importante diffusione per un testo teorico, è dovuto alla ricerca sulle “malattie relazionali” e sui processi che conducono a relazioni evolute.

In ambito clinico ha pubblicato “Medicina Narrativa” (F. Angeli, 2004); Narrative medicine e medicine complementari; Il counseling medico e la prevenzione in cardiologia; Formazione alle abilità comunicative e relazionali di base; Psicoterapia implicita nella comunicazione narrativa, simbolica e interattiva con il paziente; Psichiatria narrativa e counseling relazionale; Medicina Narrativa e counseling in medicina generale, La narrazione della confidenza con il cibo come nucleo interpretativo dei disturbi alimentari, Riv: Med. narr; Disagio psicologico e invecchiamento, Ed. Salus, Roma.

In ambito giuridico ha pubblicato “Il contributo delle scienze sociali all’analisi della crisi dell’impresa in S. Pacchi (a cura di) , Il Nuovo Concordato Preventivo, IPSOA”; “Valutazione della qualità relazionale e  predittività del burn out e del mobbing nei gruppi di lavoro dei servizi per la giustizia minorile, (in coll.), Rassegna di Servizio Sociale”; “Relazionalità e cultura del civile in La rappresentazione dei soggetti collettivi”; Le voci “Devianza”; “Emarginazione”; “Violenza”; in Dizionario di Scienze dell’educazione.

Come consulente di parte in casi di violenza ed omicidio ha sviluppato le tematiche della “Real Justice” come strumento valutativo del crimine e come modello relazionale di prevenzione dei disturbi di personalità schizotipico, antisociale, borderline, narcisistico, evitante e ossessivo compulsivo attraverso l’interpretazione dei tratti patologici del senso di colpa, della delusione e dell’abbandono o del lutto.

Le sue ultime pubblicazioni riguardano le proprietà dell’affettività (L’irradiazione affettiva, Ed. La Bancarella, 2013) e lo sviluppo della teoria relazionale.

 

 

 

 

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