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Stili di leadership e tecniche di gestione dei gruppi

tratto dal testo "Counseling, Orientamento e classi"

di Lorenzo Barbagli

 

Gruppi, relazioni e potenzialità

Ad ogni cultura e struttura valoriale nei gruppi corrispondono applicazioni pratiche che si elicitano in risorse. Nella tabella che segue ho cercato di mettere in luce e riassumere quello che possiamo identificare come risorse e punti di forza dei differenti tipi di gruppo:

 

Tab 1: gruppi e potenzialità:

Tipo di gruppo

Punti di forza organizzativi

Organizzato/rigido

Organizzazione, stabilità, burocrazia

Intraprendente/conflittuale

Intraprendenza, dinamicità, produttività

Creativo/dissolvente

Innovazione, strategicità, libertà

Emozionale/inconcludente

Consensualità, assertività, spirito di gruppo, carisma

Quieto/ anomico

Diplomazia, adattamento, opportunismo, regolarità

Sensibile/fallito

Visualizzazione degli obiettivi, sostegno interno, rispetto delle individualità, precisione

Unito/invischiato

Relazionalità interna ed esterna, attivazione, consensualità

 

Per rendere più facilmente comprensibile e maggiormente funzionale questo modello di differenziazione delle tipologie di gruppo, dobbiamo però chiederci quali siano le dinamiche relazionali che si attivano dentro ogni gruppo, e pertanto dove trovino origine le risorse e le caratteristiche di un gruppo. Nella tabella sono messe in luce quelle dimensioni che nel paragrafo successivo verranno poi rese chiare nelle loro caratteristiche:

 

Tab 2 e 3: gruppi e dinamiche interne:

Tipo di gruppo

Dinamiche relazionali di affinità

Dinamiche relazionali di opposizione

Organizzato

Rigido

Integrazione; Complementarità

Insofferenza; Incomprensione

Intraprendente

Conflittuale

Incontro; Mediazione

Equivoco; Delusione

Creativo

Dissolvente

Riconoscimento; Dialogicità

Insofferenza; Logoramento

Emozionale

Inconcludente

Integrazione; Disponibilità

Delusione; Evitamento

Quieto

Anomico

Mediazione; Complementarità

Logoramento; Fastidio

Sensibile

Fallito

Riconoscimento; Incontro

Incomprensione; Evitamento

Unito

Invischiato

Disponibilità; Dialogicità

Equivoco; Fastidio

 

Infine nell’ultima tabella che propongo perseguo l’obiettivo di connettere ancora una volta i modelli di strutturazione ed esercizio del potere che si esprimono prevalentemente nei gruppi e di conseguenze le dinamiche di relazione che sviluppano mobbing e disagio nei gruppi e che possono essere considerate fattori di predittività[1]:

 

Tipo di gruppo

Tipo di potere esercitato

Disturbi relazionali

Organizzato

Rigido

Unilaterale,Unidirezionale,Logico/razionale

Oppressioni

Intraprendente

Conflittuale

Unilaterale, Unidirezionale, Logico/razionale

Intimidazioni

Creativo

Dissolvente

Trasformativo, Logico/razionale

Squalifiche

Emozionale

Inconcludente

Consensuale, Trasformativo

Seduzioni

Quieto

Anomico

Logico/razionale, Consensuale

Demotivazioni

Sensibile

Fallito

Logico/razionale, Consensuale, Unilaterale, Unidirezionale

Istigazioni

Unito

Invischiato

Consensuale, Unilaterale, Unidirezionale

Manipolazioni

 

Tipi di gruppo, dinamiche di relazione e analisi del clima organizzativo e relazionale.

Comprendere un clima organizzativo, come abbiamo detto, è dunque interpretare le dinamiche relazionali all’interno del gruppo che scaturiscono dalla risultante delle strutture, dei comportamenti individuali, della missione e della vision aziendale, oppure delle regole di relazione in una famiglia, in una scuola (dentro lo staff dei docenti) oppure dentro una classe o tra un gruppo di amici. Comprendere queste fonti, se è utile per interpretare e magari sviluppare profondi cambiamenti nei termini di ristrutturazione delle personalità individuali non è necessaria per comprendere il clima organizzativo. In primo luogo cerchiamo di occuparci dei dati quantitativi.

Quanto quel gruppo, al di là delle cause (che serviranno nella successiva analisi), è integrato? Quanto è disponibile? Quanto creativo e quanto procedurale? Quanto è tradizionalista? Quanto invece c’è unità interna e motivazione agli obiettivi?

Per indagare su questo abbiamo definito 14 variabili di rilevazione delle dinamiche relazionali che sono: integrazione, complementarità, incontro, mediazione, riconoscimento, dialogicità, disponibilità per ciò che riguarda le affinità elettive e: insofferenza, logoramento, fastidio, equivoco, delusione, evitamento, incomprensione per ciò che riguarda le opposizioni relazionali.

L’INSOFFERENZA si verifica quando le persone si oppongono con costrutti articolati di comportamento. Quanto più uno è, intenzionalmente, ordinato, preciso, metodico, ripetitivo, tanto più l’altro è, intenzionalmente, confusionario, vago, innovativo e creativo. L’insofferenza intercorre tra il soggetto responsabile e controllato e il creativo indipendente e produce litigio.

La DELUSIONE si impianta stabilmente quando le persone avevano interpretato, illudendosi, il comportamento dell’altro in sintonia con le proprie aspettative. La delusione può manifestarsi  improvvisamente, a seguito di un inganno, ma cresce lentamente in piccole esperienze quotidiane, poco percettibili. La relazione di delusione reciproca corre tra le personalità intraprendente e espressiva. Conduce al risentimento espresso attraverso la calunnia o il tradimento.

Il LOGORAMENTO è frutto di rapporti superficiali con manifestazioni appariscenti ed estetizzanti. E’ una certa immagine, un tono sempre “sopra le righe”, che logora le persone costrette a dare risposte all’”altezza della situazione”, mai del tutto vere o del tutto chiare. Il logoramento si tipizza tra il creativo indipendente e le persone apatiche. La fuga dal logoramento si traduce nel tentativo di mantenersi indifferenti, ma l’accumulo conduce a manifestazioni di isteria

L’EVITAMENTO è precostituita indisponibilità alla relazione. I motivi psicologici  dell’evitamento sono: inibizione, incapacità di stabilire rapporti, eccesso di sensibilità, bassa autostima ma anche senso di superiorità, megalomania o superbia. L’espressivo ed il rassegnato si evitano reciprocamente. L’evitamento preclude ogni possibilità di vita comune.

Il FASTIDIO nasce dalla reattività di rifiuto “a pelle” di gesti, modi di fare, odori, rumori, sapori, immagini emanati da qualche persona. Conduce a rassegnazione e sopportazione ed al tentativo di mettere in atto l’allontanamento dall’altro. Il soggetto con forti propensioni all’attaccamento (adesivo) e l’apatico provano reciproco fastidio. Si manifesta in atti di vendetta: piccoli dispetti o vere e proprie violenze

L’INCOMPRENSIONE è l’incapacità di trovare il motivo del comportamento che l’altro mette in atto. Sebbene sia chiaro ed evidente ciò che l’altro fa, non si capisce perché lo faccia, come sia possibile che l’altro non capisca che ciò che fa non è quello che si deve fare in quella circostanza. Il confronto è sterile perché ciascuno pensa: “Possibile che non capisca che…?”. Aumenta così la necessità di osservazione e di controllo del comportamento altrui, con vere e proprie ossessioni e modelli di comportamento paranoici. Il rassegnato che il controllato vivono nella incomprensione reciproca.

C’è EQUIVOCO nei comportamenti delle persone quando le azioni non sono sinergiche ed orientate allo stesso fine o, se orientate allo stesso fine, sono svolte in modi e tempi diversi. L’intraprendente e l’adesivo (eccesso di attaccamento) equivocano sul significato dei loro comportamenti. L’equivoco rende impossibile l’intesa e conduce alla caduta della fiducia, alla diffidenza, al sospetto ed alla ripetuta attuazione di comportamenti che danneggiano se stessi e gli altri.

Il RICONOSCIMENTO porta a scoprire che gli altri vivono le stesse emozioni. Si insegna il riconoscimento attraverso espressioni del tipo: “ Ma lei non si è accorto che…” spiegando il motivo per cui una terza persona manifesta un certo comportamento. Il riconoscimento è l’antidoto dell’equivoco: si basa sulla comprensione delle aspirazioni, delle frustrazioni e delle difficoltà dell’altro. Il riconoscimento si tipizza tra il sensibile rassegnato e il creativo indipendente.

La DISPONIBILITA’ scaturisce dall’apertura verso l’altro che rende possibile un’azione positiva senza che ciò costi molta fatica. Spesso è valutata nell’intenzione più che nel risultato. Consente di superare l’insofferenza. La disponibilità nasce nell’incontro tra l’espressivo e l’adesivo.

La COMPLEMENTARITA’ nasce dalla consapevolezza che l’uno farà le cose che non possono essere fatte dall’altro. Si fonda sulla serena accettazione che gli altri stiano facendo esattamente ciò che c’é bisogno di fare perché è utile per tutti. Lo sfondo della complementarità è la tranquillità e il realismo ed è l’antidoto alla delusione perché non si fonda su aspettative fantastiche. La complementarità vige tra l’apatico e il controllato.

L’INCONTRO è l’antidoto del logoramento perché presuppone la assoluta diversità delle persone, compresa l’estraneità dei modelli mentali e degli schemi d’azione, ma le impegna nell’obiettivo di scoprire che le diversità sono una potenza a cui ciascuno può attingere. L’incontro produce unità. L’incontro avviene tra il sensibile rassegnato e l’intraprendente.

La DIALOGICITA’ è possibile quando ci siano “cose da dire” e ci sia un contesto in cui possono essere dette. Una relazione in cui si discute di ogni cosa, non si litiga perché, anche di fronte agli idee o alle opinioni più divergenti, sa che è possibile condurre a buon fine la discussione. E’ l’antidoto all’evitamento perché diminuisce le tensioni, supera le impressioni troppo superficiali o troppo appariscenti. La dialogicità intercorre tra il creativo e l’adesivo.

L’INTEGRAZIONE è la base per una buona organizzazione (e non il contrario). Vi è integrazione quando nessuno travalica o tradisce le aspettative che l’altro aveva riposto su di lui: il gioco delle parti, dei compiti, delle funzioni e dei ruoli è armonioso. L’integrazione è l’antidoto del fastidio perché rispetta l’identità di ciascuno e mette tutti nella “giusta distanza relazionale” reciproca. Si attua tra controllo ed espressione.

La MEDIAZIONE costruisce il “senso comune” perché modera gli eccessi e stimola le energie necessarie per raggiungere un obiettivo. E’ l’antidoto all’incomprensione perché negozia i significati e libera dal controllo reciproco. Produce accordo. E’ la relazione tipica tra intraprendenti e apatici.

 

Il Coinvolgimento che viene definito come condivisione della vision, della mission e partecipazione nei rapporti interpersonali, motivazione, contiene al suo interno i concetti - se pur sovrapposti e non ben delineati e distinti, per questo difficilmente quantificabili e successivamente poco precisamente interpretabili perché arbitrari e soggettivi – di integrazione, incontro, disponibilità e dialogicità.

La Coesione, spirito di gruppo e dunque unità interna è invece scaturente da dinamiche interne di mediazione, incontro, disponibilità e riconoscimento, e dunque per converso dalla scarsa presenza di dinamiche di equivoco, incomprensione, logoramento ed evitamento.

Il Sostegno invece viene individuato nella capacità di sostenere i colleghi condividendone i pesi, nella disponibilità interna, nella disponibilità verso i bisogni degli appartenenti al gruppo e pertanto è figlio di dinamiche di affinità di disponibilità, riconoscimento, incontro. Bassi livelli di insofferenza, logoramento e incomprensione.

L’Autonomia: indipendenza interna ed esterna, autonomia nelle scelte e nella capacità di portare a termine un obiettivo anche singolarmente è frutto di dinamiche di incontro, complementarità, riconoscimento e dialogicità e pertanto necessita di bassi livelli di fastidio ed incomprensione e delusione.

L’Orientamento al compito, che abbiamo visto rispondere alle domande: quanto è importante raggiungere gli obiettivi prefissati, quanto vengono raggiunti e simili è invece determinato dalla minore o maggior presenza di integrazione interna e di incontro.

La Pressione lavorativa individuabile nella quantità di stress si sviluppato all’interno dell’organizzazione è sempre frutto di dinamiche di opposizione come l’insofferenza, il logoramento, il fastidio e l’equivoco, mentre, nel caso in cui sia produttiva ed efficace sarà scaturita da un alto livello di integrazione interna e complementarità, anche se allora non assume più quei connotati che la fanno definire “pressione lavorativa”.

L’indicatore di Chiarezza dei compiti e dei ruoli che corrisponde alla capacità di rendere espliciti gli obiettivi, i compiti ed i ruoli all’interno ed all’esterno è invece quantificabile se analizzato nella cianiche interne di relazione di dialogicità, disponibilità e riconoscimento, oppure nell’assenza di equivoco e incomprensione.

Il Comfort, che si caratterizza nella sicurezza e la qualità strutturale dell’organizzazione, è figlio della complementarità, della mediazione e dell’integrazione e non può esistere nell’evitamento e nel fastidio.

La Fluidità e  la disponibilità delle informazioni sottendono la chiarezza interna e anche la semplicità di accesso alle informazioni e agli obiettivi, la condivisione e la consapevolezza interne e pertanto sono da mettere in connessione con le relazioni di dialogicità e integrazione e conseguentemente sono poco presenzi se sono alti gli indicatori di equivoco ed evitamento.

Infine l’indicatore Equità che  corrisponde al livello percepito di giustizia interno al gruppo circa i rapporti, i ruoli, e le mansioni è alto se sono alte integrazione e riconoscimento e basso quando sono alti i livelli di equivoco e di insofferenza.

 

Gli spazi di educabilità e le funzioni educative della leadership

Il leader, l’insegnante, il rappresentante, il manager, tutti coloro che svolgono un ruolo di guida e di direzione all’interno di un gruppo di persone, svolgono in effetti anche mansioni di tipo direttamente educativo.

Motivare verso gli obiettivi è l’equivalente di un’atteggiamento di incoraggiamento ed di coinvolgimento nell’educazione; ispirare le visioni e dar spazio alle idee altro non è che insegnare l’espressività e la creatività; approfondire le tecniche e gestirle secondo modelli di empowerment è la crescita rispetto alla consapevolezza di sé, delle proprie potenzialità e debolezze e l’apertura all’incontro con l’altro.

E’ Scurati[2] (in realtà uno dei pochi pedagogisti che hanno affrontato il tema pedagogia e leadership) a definire alcuni compiti educativi del leader e del dirigente verso i suoi sottoposti.

Va da se come questi compiti spettino agli insegnanti delle scuole medie inferiori e superiori.

La gestione del cambiamento e l’innovazione nelle organizzazioni dovuta alla dinamicità del mercato e della società è esso stesso motivo, necessità e funzione della leadership, che incontra direttamente l’attitudine delle persone a sopportare il cambiamento[3]. Con essa lo sviluppo e l’apprendimento sono questioni connesse ed intersecate sia alle questioni strutturali del management, sia a quelle di leadership e espressamente si riferiscono agli ambiti di educabilità delle persone.

L’analisi delle situazioni è di nuovo ambito delle scienze dell’educazione e con esso molte parole chiave della cultura aziendale che provengono direttamente dall’ambito dell’educazione.

Educazione allo spirito di gruppo, l’assertività, i modelli di comunicazione, la riflessività, la gestione dei conflitti e con essi tutte le questioni dell’educazione degli Adulti e dell’Educazione Permanente di mencarelliana memoria riportano alla necessità di un’attenzione educativa nella leadership.

Cercando di riassumere in un quadro organico  le funzioni educative della leadership propongo la distinzione delle seguenti aree:

area delle funzioni organizzative; è questa l’area più vicina al management, delle funzioni burocratiche, della costruzione dell’efficienza organizzativa, della razionalizzazione del lavoro, dell’assertività, dell’orientamento al lavoro, dell’apprendimento delle capacità e delle funzioni di controllo e gestione. Axiologicamente siamo nella sfera dell’educazione alla responsabilità.

area delle funzioni e delle pratiche produttive; nell’ambito imprenditoriale è questo l’ambito dello sviluppo dell’intraprendenza, del cosiddetto risk tacking, dello sviluppo della motivazione, della efficacia produttiva, del problem solving e del coraggio, della reattività e dello sviluppo del senso di partecipazione attiva e del senso di giustizia.

area della creatività e dell’innovazione; il riconoscimento delle potenzialità e delle differenze individuali, la vision, l’invenzione, l’innovazione, il problem solving nella sua dimensione astrattiva, della lungimiranza strategica, della stima di sé, delle intuizioni e del valore della differenza, della relatività e della libertà.

area della comunicazione e dell’espressività; forse ancora più vasta delle altre, in quest’aria rientrano la partecipazione, il coinvolgimento nella vision, il senso della mission, l’espressività e l’innamoramento di gruppo e verso gli obiettivi, la fantasia, le capacità di vendita e di marketing, la fiducia in se stessi  (self-confidence), il valore della generosità, della disponibilità e coraggiosa e programmata improvvisazione (planned happenstance[4]).

area della diplomazia, della mediazione e della gestione dei conflitti; in quest’arie rientrano le capacità di mediazione e di assorbimento dei conflitti, le capacità strategiche, la riflessività e la capacità di cogliere le occasioni con opportunistica serenità, le capacità di essere eseguire, l’obbedienza positiva, della flessibilità, della sobrietà nella relazioni e della discrezione relazionale, il valore della calma della quiete e di quelle posizioni necessarie, ormai definite in ambito manageriale in maniera condivisa “Zen” ( www.managerzen.org ).

area della conoscenza tecnica e della definizione degli obiettivi; due dimensioni sono contenute nella stessa area: la prima della conoscenza tecnica è relativa ai bisogni di apprendimenti tecnici e tecnologici, dei metodi, delle procedure, delle questioni e della capacità di gestirle e di affrontarle, e con essa del valore della profondità della conoscenza e della competenza e della specializzazione; la seconda invece la capacità di avere mira, di definire obiettivi sensati, raggiungibili e precisi, anche se a lunga distanza, della determinazione e della caparbietà nonostante le difficoltà e la fatica, del sostegno verso l’altro semplice e solido.  In una parola, il valore dell’umiltà e del sacrificio.

area della relazionalità e dell’affettività; ultima, direttamente legata al gruppo, è l’area del senso di appartenenza, dello spirito di squadra, dell’unità interna e della disponibilità verso gli alti. Dell’attenzione verso l’altro, della cura e dell’affettività, della precisione nello svolgimento dei compiti, dell’aiuto; del valore dell’amicizia e dell’attenzione alla persona.

 

Modelli di leadership

Nella pratica professionale di questi ultimi anni, uscendo dalla dicotomia leader e leadership e cercando una coniugazione pratica che consideri cioè entrambi gli aspetti della questione, ho costruito e sperimentato nella pratica della formazione e della didattica scolastica insieme ai miei colleghi (prof. Masini Vincenzo e dott. ssa Emanuela Mazzoni) alcuni stili di leadership e alcuni archetipi comportamentali di followership (personalità collettive). Distinguo, per poi trattarne l’integrazione con i gruppi, sette differenti modelli di leadership[5], in diretta connessione con le aree di educabilità e le funzioni educative del leader:

1) Leadership organizzativa: è uno stile di leadership centrato sul controllo, sulla funzionalità e sulla responsabilità. Il leader organizzativo è colui che con fermezza e decisone, se pur con saggia oculatezza e diplomazia, ordina e struttura l’azione collettiva sentendosi responsabile degli eventi. Abbastanza freddo ed inespressivo, è affidabile e stabile. Tecnica e procedurale. Il suo rischio è di diventare decisamente oppressiva e/o ossessiva.

2) Leadership motivante: è uno stile centrato sulle dinamiche di attivazione, di produzione e sulla reattività primaria. E’ uno stile deciso e istintivo, netto e determinato, instancabile. Il leader motivante trascina il gruppo nelle imprese e di fatto svolge la funzione del rompi-ghiaccio, instillando nel gruppo coraggio e fiducia per l’impresa. Difende il gruppo con forza. Può diventare uno stile intimidatorio

3) Leadership creativa: si caratterizza per una visone inventiva e creativa del gruppo e delle attività, riflessiva nella comprensione e acuta e geniale nelle soluzioni. Fortemente innovativa e brillante, carismatica è invece uno stile di leadership centrato sulle idee e sulla forza di queste. Fortemente ispirato ai valori della libertà, il leader creativo non dà incarichi ma raccoglie le libertà individuali e le riconosce e potenzia. Rischia però di diventare dispersiva e troppo blanda, aprendosi alle squalifiche interne ed esterne.

4) Leadership coinvolgente: è questo invece uno stile decisamente carismatico e istrionico, narcisistico e centrato sulla figura del leader coinvolgente. Consensuale e seduttivo, il leader in questione conquista il gruppo come un suo pubblico, indirizzandone le energie e le azioni nelle necessarie direzioni, accendendo di passione e slancio gli animi del gruppo. Il maggior rischio è che dietro al carisma non si nasconda sostanza, lasciando spazio al suo interno a seduzioni per cui il fine reale del gruppo diventa la venerazione del leader.

5) Leadership opportunistica: è molto blanda e leggera, potremmo definirla a maglie larghe, ma osserva e indirizza le energie con sapienza e attenzione. Ottimizza gli sprechi di energie e mantiene fermezza e stabilità con bassi costi anche nei momenti di tensione. Il leader opportunistico è una sorta di rimbalzista, non costruisce l’azione, ma la lascia evolversi dando qua e là aggiustamento e consigli procedurali e lasciando ampi spazi agli individui. Rischia però di diventare un’assenza di leadership, aprendosi a tutte le demotivazioni e le oppressioni da parte dei subordinati.

6) Leadership invisibile: anche questo è un modello di leadership a maglie larghe, metaforicamente richiama all’immagine delle eminenze grigie delle organizzazioni. Si imposta sulla libertà d’azione dei componenti del gruppo, offrendo però canali e obiettivi in cui canalizzare le energie come nel caso della leadership opportunistica. A differenza di questa ha però l’attenzione ed il sostegno degli individui,  ed un forte orientamento all’espressione e allo sviluppo delle individualità. Suggerisce e sostiene le azioni dei componenti, avvertendoli di eventuali rischi e di pericoli per il gruppo, percependo le intrusioni ed i nemici esterni ed interni. Al contrario, corre il rischio anch’essa di apparire come una non-leadership, di ottenere un basso consenso interno (poiché non coinvolgente) o di diventare istigante auto-distruttiva perché incapace di difendersi dalle oppressioni e dalle seduzioni o di non trasmettere fiducia al gruppo.

7) Leadership affettiva-relazionale:  l’ultimo modello, si centra infine sulle relazioni e sulle persone. L’obiettivo di tale leadership non è la gestione della produzione, dell’innovazione o la prontezza amministrativa e normativa ma l’affiliazione gruppale e l’unità interna, nel rispetto delle differenze e nella valorizzazione dei comportamenti socio-solidali interni al gruppo o di collaborazione. Trasmette il senso di squadra e di team, unisce e affilia i componenti verso una dimensione affettiva e quasi familiare, riassorbendo le intemperanze e gli eccessi. E’ dinamica e attiva, ma rischia di diventare invischiante e manipolatoria.

 

Per rendere di più facile accesso i modelli presentati, propongo nelle pagine seguenti alcune tabelle in cui sono stati messi in relazione diretta con i paradigmi sulla leadership vigenti in letteratura.

Nella prima in relazione al lavoro originario di Likert, Lewin[6] e conseguentemente agli archetipi del gruppo di Fielder[7], mettendone in luce le elicitazioni relazionali:

 

Tabella di rapporto 1:Likert e Lewin, Fielder:

 

Modello Transteorico

Likert e Lewin

Fielder e coll.

Organizzativa

Autoritaria/autocratica

Autoritaria

Motivante

Autoritaria/autocratica partecipativo/Democratica

Autoritaria/partecipativa

Creativa

Partecipativo/democratica  permissivo/lassista

Autoritaria/partecipativa

Coinvolgente-consensuale

Partecipativo/democratica permissivo/lassista

Partecipativa/da taverna

Opportunistica

Permissivo/lassista

Lassa

Invisibile

Autoritaria/autocratica permissivo/lassista

Lassa/autoritaria

Affettiva

Autoritaria/autocratica partecipativo/Democratica

Partecipativa/da taverna/autoritaria

 

seconda invece vediamo le funzioni e i valori contenuti in ogni modello in relazione al modelloTrasformazionale [8]:

 

Tab 2: funzioni e modelli di Leadership:

 

Modello di leadership

Funzione trasformazionale

Organizzativa

Credibilità – Guida

Motivante

Motivazione – Sfida

Creativa

Visione - Guida

Coinvolgente/consensuale

Fiducia – Sfida

Opportunistica

Empowerment - Guida

Invisibile

Esempio – Credibilità

Affettiva

Motivazione - Fiducia

 

nella terza tabella (nella pagina seguente) infine si connettono gli stili di leadership con le funzioni educative a cui rispondono ed i conseguenti spazi di educabilità che ho distinto precedentemente:

 

Tab 3. Funzioni educative:

 

Modello di leadership

Funzione educative

Organizzativa

Area delle funzioni organizzative

Motivante

Area della produzione

Creativa

Area della creatività e dell’innovazione

Coinvolgente/consensuale

Area della comunicazione e dell’espressività

Opportunistica

Area della diplomazia, della mediazione e della gestione dei conflitti

Invisibile

Area della competenza tecnica e della definizione degli obiettivi

Affettiva

Area della relazionalità

 

Utilizzare uno stile di leadership oppure un altro non può essere casuale. Difatti, non tutti i gruppi necessitano degli stessi stili di leadership. Ogni stile deve essere considerato come necessario al suo gruppo (personalità collettiva) opposto. Pertanto, utilizzare una leadership affettiva-relazionale all’interno di un gruppo unito, vuol dire farlo pian piano diventare invischiato, e, quando questo lo fosse già, rinforzarne il copione.

Ogni stile, se è utile per la personalità collettiva opposta, può essere dannoso per tutte le altre. Rinforzando i copioni e rendendoli estremi e negativi per il gruppo oppure ponendosi in opposizioni con essi e causando relazioni dis-empowered.

 

Insegnanti, leaders, carisma e tecniche.

E’ semplice intuire la connessione che sussiste tra l’insegnamento come mestiere e la leadership rispetto ai gruppi. La seconda, pur provenendo dall’ambito aziendale è contemporaneamente necessità e conseguenza del mestiere dell’insegnamento.

Un leader deve saper insegnare come un’insegnante deve avere leadership del gruppo.

Ma la leadership non è l’essere banalmente “carismatici”, almeno se intendiamo con la parola carisma quel modo di essere seducente e narcisista che alcune perone posseggono  ed altre meno.

Un carisma è una competenza, una capacità e pertanto può essere originario oppure appreso.

L’idea nostra è che ogni docente abbia uno stile di leadership che esprime con maggiore facilità perché connesso alla sua struttura di personalità, ma anche che ogni persona, se accetta di mettersi in gioco con impegno e disponibilità a crescere e cambiare, possa imparare se non tutto, molto più di quanto non possa immaginarsi.

Ogni stile di leadership impone un certo tipo di atti ed è utile per alcune funzioni e per alcuni tipi gruppi.

Anche in una classe scolastica, in cui è interesse primario l’apprendimento delle differenti materie di studio, dobbiamo spere che questo stesso apprendimento è vicario allo sviluppo della gruppalità.

 

Comunicazione e didattica: tecniche di formazione

La comunicazione, dunque strettamente connessa alla relazione, deve però essere visualizzata comunque come un mezzo di trasmissione di informazioni o di gestione di relazione utile alla funzioni ed agli obiettivi delle persone e dei gruppi. E’ importante quindi capire come la sola analisi dei processi comunicativi non sia utile fintanto che mediante essa non si producano modelli di gestione dell’interazione, differenziati a seconda delle funzioni e della relazionalità.

Una semplice “lezione” universitaria richiede già dei criteri di efficacia ed efficienza. Come si può, quindi, essere credibili e convincenti, in un certo senso “persuasivi” e dunque efficaci nella trasmissione di informazioni nelle situazioni in cui ciò è necessario?

I punti da osservare sono principalmente cinque:

1.                         Avere cose importanti ed interessanti da dire (!).

2.                         Mantenere viva l’attenzione degli astanti.

3.                         Osservare tutti i presenti nell’aula

4.                         Mantenere integra la “cornice”

5.                         Rispettare gli stili cognitivi e d’apprendimento.

 

Avere cose importanti ed interessanti da comunicare.

Anche se, scritto così, possa sembrare scontato, non è poi così ovvio. Il concetto è quello di costruire una “rilevanza condizionale” (vedi Goffman) con il pubblico. Stabilire una rilevanza condizionale vuol dire anche usare un linguaggio comprensibile e compatibile con il contesto; affrontare, infine, il discorso dal punto di vista di chi ci deve seguire.

E’ pertanto necessario a tal scopo modulare il proprio linguaggio sulle caratteristiche del gruppo con cui dobbiamo interagire ed altresì toccare con esempi e connessioni logiche eventi o situazioni vissute dai partecipanti che siano utili per rendere vicini i temi che si devono affrontare.

 

Mantenere viva l’attenzione degli astanti.

Come si fa? Muovendosi costantemente lungo tutto il “palcoscenico”.

Ovviamente si deve stare in piedi, gesticolare ampiamente, avere una mimica facciale e fisica marcata e considerare che chi ci sta di fronte deve essere interessato anche a noi, non solo a quello che diciamo… altrimenti potrebbe ascoltare una cassetta! Come le apine che da piccoli avevamo sopra il lettino. Le guardavamo perché erano colorate, visibili ma soprattutto perché si muovevano.

In secondo luogo è necessario utilizzare un linguaggio emozionante ed evocativo, che trasmetta emozioni e coinvolga i partecipanti, a volte con una battuta, oppure utilizzando una parola un po’ osè si può ottenere il doppio dell’attenzione circa il tema che si deve sviluppare. Pur senza insegnare le parolacce!

 

Osservare tutti i presenti.

Credo che questo punto sia di facile interpretazione..

La sostanza è che ognuno dei presenti deve sentirsi direttamente coinvolto, deve sentirsi come diretto destinatario dei concetti esposti. Alcuni (li riconoscete subito perché fanno mille domande e sono seduti subito sotto di voi!) hanno addirittura bisogno di essere riconosciuti. Fategli un complimento appena entrate e vedrete che staranno buoni e calmi!

 

Mantenere integra la “cornice”.

Durante una lezione (se questa funziona bene) si crea un certo livello di attenzione e di tensione che è bene mantenere. Quest’ambiente viene definito nei contesti formativi come “cornice”, ovvero il perimetro che delimita questo contesto.  Mantenerla vuol dire assicurarsi che i più esterni della stanza stiano seguendo e quindi rivolgere a loro una maggiore attenzione.

Se i più esterni stanno seguendo quasi certamente lo staranno facendo anche gli altri.

 

Rispettare gli stili cognitivi e d’apprendimento.

Descrizione ed origine degli stili; quest’ultimo punto è quello sicuramente più complesso, come tale, richiede una spiegazione un po’ più approfondita e che quindi prenda avvio da più lontano.

Partiamo da un presupposto: non tutti apprendono nella stessa maniera, non tutti hanno lo stesso tipo d’intelligenza poiché quest’ultima è frutto di una precisa struttura mentale. Ma quante sono le intelligenze esistenti? In molti hanno dibattuto, il materiale in questo senso è davvero smisurato, per conto mio cercherò di riportare gli studi davvero rilevanti e che possono aiutarci.

Piaget, nel suo lavoro, evidenziava quattro criteri fondamentali: funzione senso-motoria, funzione pensiero preoperativo, funzione pensiero operativo e funzione forma-autorappresentazione.

Wilber individua invece una struttura gerarchica che prende avvio da un trittico che si sviluppa in nove successivi modelli di struttura cognitiva. Così l’impostazione Transologica si sviluppa in: causale, sottile, psichica. Quella Logica in: logica(2), riflessiva, ruolo e quella Prelogica in rappresentativa, emotiva e sensoriale.

Lowenfield e Brittain contribuiscono allo sviluppo della problematica suddividendo lo sviluppo cognitivo in sette categorie: emotivo, intellettuale, fisico, percettivo, sociale, estetico e creativo.

Volendo sintetizzare, ci vengono incontro Gardner  e Jacobson che costruiscono due strutture per le quali, se rapportate tra loro, si individuano sette tipi di intelligenze alle quali corrispondono sette modalità di comunicazione.

 

Gardner:                                                                                                Jacobson:

Modello d’azione intellettiva

 

Realizzazione applicata della

intelligenza

Modalità della comunicazione

Formale

Logica

Fàtica (di verifica)

Pratica

Cinestetica

Conativa (persuasione al moto)

Intuitiva

Spaziale

Informativa (obiettiva)

Espressiva

Linguistica

Espressiva (metalinguistica)

Estetica

Intrapersonale

Poetica (suggestiva)

Descrittiva

Lessicale

Immaginativa (fotografica)

Emotiva

Interpersonale

Descrittiva (contesualizzante)

 

Purtroppo, per quanto questo schema sia sicuramente il più rappresentativo, in termini pratici è ancora troppo complesso; per poter ricavare dei parametri spendibili in un contesto d’aula dobbiamo necessariamente semplificare le differenziazioni e quindi raccogliere i sette modelli all’interno di un numero minore di variabili.

In questo ci viene incontro R.J. Sternberg che racchiude tutto all’interno di tre essenziali modelli intellettivi: prestazione (che per praticità d’uso chiameremo “ordinativo”), metacomponenziale (“intuitivo”) e acquisizione (“descrittivo”).

Per meglio comprenderci aggiungo che il modello ordinativo racchiude quello formale e pratico, il modello intuitivo quelli intuitivo, espressivo ed estetico, il modello descrittivo quelli estetico (in parte), descrittivo ed emotivo.

 

Cosa vuol dire avere un modello oppure un altro di intelligenza? Essere un “ordinativo”, avere un’intelligenza schematica vuol dire tendere ad attivare processi di apprendimento che prevedono l’attribuzione al materiale introiettato di una scala di rilevanza e che necessitano di ordine e di logica consequenziale. Implica aver bisogno di uno studio metodico ed ordinato, la necessità di ripetere gli argomenti ed il ricorso ad una grande memoria. A questo modello si lega un particolare tipo di “frame”, particolarmente rappresentativo del modello relazionale docente-discente: domanda dell’insegnante – risposta dell’alunno – commento dell’insegnante.  Questo modello (il più diffuso nelle scuole) si fonda sul presupposto che l’insegnante sappia già la risposta, c’è quindi un intento esclusivamente verificativo che non permette la costruzione di un nuovo schema, ma che richiede l’adesione a modelli d’apprendimento mnemonici.

Il tipo “intuitivo” non categorizza e tende a non ancorare il sapere in profondità. Prova piacere nella comprensione e confida nella sua capacità di saper ri-comprendere al bisogno. Non ordina e si coinvolge all’emergere di nuovi problemi. Il metodo di studio elettivo è la sintesi e l’aggregazione a grappolo delle conoscenze acquisite. Il “Frame” tipico è il seguente: domanda dell’insegnante –domanda dell’alunno- ulteriore domanda dell’insegnante.  Qui la domanda dell’alunno è rappresentativa della comprensione della domanda del docente; è già da sé una verifica. Limite di tale frame è quello di non consolidare l’apprendimento in efficaci schemi di pensiero, che divengano stabili, e di non delimitare il campo del conosciuto.

Il tipo “descrittivo” tende a trovare un’armonia olistica nell’insieme dei dati. Concatena gli elementi gli uni con gli altri, storicizza la comprensione in eventi e momenti. Implica un metodo di studio che richiede la presenza (e la visione) di tutto il materiale inerente. Pur riuscendo ad ottenere un’ottima visione d’insieme al tipo descrittivo tendono a sfuggire le deduzioni e le intuizioni. Il frame relativo è di questo tipo: domanda dell’alunno –risposta del docente – ulteriore domanda dell’alunno. La risposta produce una nuova richiesta descrittiva che amplia e divaga nel contesto ed impedisce di afferrare il centro del problema.

A questo punto, per complicare le cose, non rimane che ricordare che ogni individuo sviluppa tutte e tre le modalità, essere un “tipo” vuol dire avere una prevalenza in una di esse.

 

Tecniche d’interazione con gli stili; altro non resta che definire delle tecniche d’interazione che facilitino l’apprendimento a seconda degli stili.

Nel nostro caso, è importante sapere che un tipo ordinativo, per ritenere interessante e seguire con facilità una lezione ha bisogno di dati tangibili uniti alle spiegazioni; vanno bene quindi lucidi, schemi, regole ben definite con altrettanto ben definite soluzioni. Infine ha bisogno che la spiegazione non sia troppo dispersiva o spaziale.

L’intuitivo, quasi all’opposto, ha bisogno di salti logici, sfide intuitive e spiegazioni brillanti. Ha bisogno di battute che stuzzichino la sua creatività, ha bisogno di poter esprimere la sua generatività all’interno di un sapere che dal suo punto di vista è in continua evoluzione. Ha, infine, bisogno di appassionarsi alla materia di studio.

Il descrittivo, bisognoso di legare l’apprendimento ad immagini e relazioni, chiede esempi ed aneddoti. Poi farà mille domande.. starà a voi non farlo disperdere nella sua incapacità di selezione.

 

Ultimo suggerimento: il relatore è al servizio di chi lo ascolta, pensare che siano gli altri a doverci seguire è solo sterile presunzione.


 

[1] Cfr.Barbagli L, Masini V., Valutazione della Qualità relazionale e predittività del Burn-out e del mobbing nei gruppi di lavoro dei servizi per la giustizia minorile, in Rss Rassegna Servizi Sociali,n 2, anno 44, 2005.

[2] Scurati C., I volti dell’educazione, Ed. La Scuola, Brescia, pp. 227- 257,1996.

[3] su questo tema proporrò degli approfondimenti più avanti, nel paragrafo sulle resistenze individuali.

[4]Cfr. Mitchell, Reti, norme e istituzioni,  in  Piselli F.  (a cura di),  Reti.  L’analisi di network nelle scienze sociali, Roma, Donzelli Editor, 1973.

 

[5] Cfr. Masini V., Leadership e impresa, in Pacchi S., Il nuovo concordato preventivo, ed. IPSOA, in pubblicazione, pp. 329-342.

[6] Cfr. LikertR., The human organization, New York, McGraw-Hill, 1967.

[7]  Cfr. Fielder F.E., “Theory of Leadership Effectiveness”, Mc Graw-Hill, New York, 1967.

[8] Il modello trasformazionale si può riferire sostanzialmente ai seguenti autori, che ne hanno codificato in forme a volte differenti ma sostanzialmente comuni la terminologia indicata nella colonna delle funzioni; per approfondire questi temi si rimanda ai seguenti testi ed autori:

·   Nanus B., Visionary leadership, Free Press, New York, 1992.

·   Collins J.C.,, Porras J.I., Building Your Company’s Vision, in Harward Business Review, sect.oct, pp.65-77, 1996.

·   Daft R.L., Lengel R.H., Fusion leadership: Unloocking the subtle Forces that Change Peaople and Organizzation, Berrett-Koehler, San Francisco, 1998.

·   Robbins S.P., Essenzial of Organization Behavior, Prentice Hall, New Jersey, 2000.

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