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VALUTAZIONE DELLA QUALITÀ RELAZIONALE E  PREDITTIVITÀ DEL BURN OUT E DEL MOBBING NEI GRUPPI DI LAVORO DEI SERVIZI PER LA GIUSTIZIA MINORILE

 

di Lorenzo Barbagli e Vincenzo Masini

 

pubblicato su Rassegna Italiana di Servizio Sociale, n.4 2004

 

 

“Il meglio che le organizzazioni possono fare è di riconoscere che molti dei metodi che si possono adottare per la misura dell’efficienza sono ben lungi dall’essere precisi. Attribuire troppa importanza ad alcuni aspetti dell’attività organizzativa e trascurarne altri può avere come conseguenza una distorsione dei fini organizzativi e costituire un pericolo per l’efficacia e l’efficienza dell’organizzazione stessa” [Etzioni, 1996: 24].

 

1) Burn out e mobbing

L’aspetto principale preso in considerazione nella ricerca intervento sul burn out e sul mobbing in alcuni servizi della giustizia minorile in una regione italiana (che chiameremo ONTARIA e nei servizi provinciali di Cantolina, Mazzania, Ronaro, Marina, Rontermo e Antaria, sostituendo i nomi per evitare la riconoscibilità) è stato il rapporto tra gruppo palese, formato dall’insieme delle relazioni tra operatori (la personalità collettiva), e il gruppo latente (le dimensioni delle singole personalità degli operatori). L’analisi delle relazioni è infatti uno degli aspetti trascurati nelle valutazioni di qualità dei servizi che, nello sviluppo attuale della cultura della qualità, si incentrano sulla valutazione della leadership, della gestione del personale, delle politiche e strategie, delle partnership e risorse, dei processi, dei risultati relativi al personale, dei risultati relativi ai clienti, dei risultati relativi alla società e dei risultati chiave di performance, come nei modelli più diffusi nel campo della qualità: le ISO, nella versione vision 2000, il  modello EFQM (European Foundation for Quality Management)  ed altri che  si stanno diffondendo.

La metodologia di analisi delle personalità collettive qui presentata tende invece all’oggettivazione, mediante variabili relazionali, di quel clima organizzativo a cui solitamente la sociologia dell’organizzazione fa riferimento senza mai definirlo compiutamente. Come hanno fatto notare Quaglino e Mander [1987] questo concetto si è polarizzato negli anni ’80 su un orientamento marcatamente psicologico, perno delle successive riflessioni sulle patologie organizzative del mobbing e del burn out, relegando l’approccio sociologico al clima entro l’ambito della sola dimensione strutturale. Il clima organizzativo appare così: a) come una caratteristica o un attributo appartenente all'organizzazione, la cui esistenza è indipendente dalle percezioni individuali; oppure b) come sintesi di processi comunicativi, processi decisionali, variabili di personalità, struttura dei compiti e stile di leadership; oppure c) clima come combinazione tra caratteristiche delle personalità ed elementi strutturali; o ancora d) clima come cultura organizzativa [Moran e Volkvein, 1992].

Se la variabile relazionale non trova sufficiente spazio nell’analisi sociologica del clima organizzativo essa ricompare nell’approccio psicologico all’organizzazione soprattutto nello studio delle malattie delle organizzazioni prodotte dal substrato relazionale che produce stress, burn-out e mobbing, sintomi della crisi relazionale nell’organizzazione.

Lo stress [Seyle, 1936] è la risposta psicofisica ad una quantità di compiti (cognitivi, emotivi o sociali) percepiti come eccessivi. Il processo stressogeno (sindrome generale di adattamento) varia ampiamente, a seconda delle personalità individuali ad esso sottoposte ed in funzione del tipo di sollecitazioni (esercitate a fini motivazionali o a fini di controllo) con esiti di stress o eustress[2]. Il processo è descritto con una articolazione in tre fasi (allarme, resistenza ed esaurimento delle difese) che inducono la comparsa di spossatezza, di ansia, di impotenza e sfiducia mobilitando anche processi fisiologici (fino alla caduta delle difese immunitarie).

Le personalità maggiormente soggette allo stress sono quelle con un alto livello di controllo e responsabilità rispetto all’esterno e quelle con un alto livello di attaccamento emotivo. Le dinamiche relazionali che risultano essere più rilevanti nello stress sono il logoramento ed il fastidio, l’incomprensione e l’insofferenza.

Il termine di burn-out [Freudenberger 1974] viene introdotto per dar spiegazione all’esito del processo stressogeno quando il soggetto perviene ad uno stato di depersonalizzazione con atteggiamenti di indifferenza, malevolenza e di cinismo verso i destinatari della propria attività lavorativa. Il burn-out è percepito come sensazione di essere svuotato e annullato dal proprio lavoro, per effetto di inaridimento emotivo nel rapporto con gli altri. Si esprime con sintomi aspecifici (irrequietezza, senso di stanchezza ed esaurimento, apatia, nervosismo, insonnia), sintomi somatici (tachicardia, cefalee, nausea, ecc.), sintomi psicologici (depressione, bassa stima di sé, senso di colpa, sensazione di fallimento, rabbia e risentimento, alta resistenza ad andare al lavoro ogni giorno, indifferenza, negativismo, isolamento, sensazione di immobilismo, sospetto e paranoia, rigidità di pensiero e resistenza al cambiamento, difficoltà nelle relazioni con gli utenti, cinismo, atteggiamento colpevolizzante nei confronti degli utenti). La persona  burned  non crede più nel senso e nel significato del suo lavoro con un crollo della personale ambizione (burn-out interno) o della motivazione al lavoro e di fiducia negli altri (burn-out esterno).

La social breakdown sindrome [Gruenberg, 1967] è invece una forma di reazione a catena, che si attiva a seguito di alti livelli di stress o di burn-out e si caratterizza per l’estendersi del disagio all’intera vita del soggetto con diminuzione delle competenze relazionali e sociali derivanti dalle ansie e tensioni dell’ambito lavorativo. Inizialmente lo si considerava come un disturbo specifico delle professioni socio-sanitarie ed educative, attualmente, anche se con risvolti, motivazioni e dinamiche intrapsichiche differenti, è invece considerato un disturbo presente in tutte le professioni [Del Rio, 1990].

La parola mobbing è stata utilizzata da Heinz Leymann e deriva dal verbo inglese “to mob” che significa aggredire. In psicologia sociale, la parola mobbing si associa al concetto di bullismo tra gli adolescenti; bullying, harassment, e mobbing  sono utilizzati spesso in maniera intercambiabile.

Il mobbing nelle organizzazioni è una patologia sociale che si origina da uno strisciante processo distruttivo della persona con comunicazioni e comportamenti ostili, palesi o occulti a seconda del tipo di mobbing: orizzontale (tra colleghi), discendente (da un superiore), combinato (ambedue), ascendente (rivolto contro un superiore gerarchico). Il processo distruttivo vive nelle relazioni del gruppo mediante alleanze e coalizioni, spesso non verbalizzate ma implicite al clima organizzativo, che si elicitano nei quarantadue comportamenti relazionali descritti da Leymann come 1) condotte che tendono ad impedire alla vittima di esprimersi, 2) che tendono ad isolare la vittima, a innescare la autocritica distruttiva, ad opprimere (terrorismo telefonico, isolamento, ecc.), 3) condotte tendenti a provocare la disistima presso i colleghi e distruggere così la sua reputazione (pettegolezzi, offese, derisioni, ecc.), 4) a discreditare la vittima nel suo lavoro, (mancata attribuzione di lavoro, compiti senza senso o umilianti, ecc.), 5) condotte tendenti a compromettere la salute della vittima (incarichi gravosi o stressanti o pericolosi).

Nella ricerca intervento sui servizi della Giustizia Minorile tali atti (tecniche di attuazione del mobbing, e/o cause di burn-out e di stress) sono stati catalogati con i termini di demotivazioni, istigazioni, manipolazioni, oppressioni, intimidazioni, squalifiche e seduzioni, individuati come processi che possono elicitarsi all’interno di relazioni di insofferenza, di delusione, di logoramento, di evitamento, di fastidio, di incomprensione e di equivoco. Giunte alla soglia di criticità tali relazioni conducono il gruppo ad un possibile punto di rottura: la social breakdown sindrome che collega il burn out individuale degli operatori con il mobbing nelle relazioni.

Giustapposto alle malattie relazioni dell’organizzazione si colloca il termine empowerment che rimanda ad una strategia di miglioramento del clima relazionale. Empowering (to give them power – dare potere agli altri) è quindi apertura relazionale agli altri mediante rispetto e fiducia reciproca.

Con tale termine si intende lo sviluppo di competenze e professionalità, di emancipazione nei contesti lavorativi e di potenziamento della creatività a tutti i livelli delle organizzazioni fondato su processi di coinvolgimento, di responsabilizzazione e di autonomizzazione. Il concetto, trasportato negli ultimi 15 anni in ambiente organizzativo, nasce in settori diversi. Ad esempio ne troviamo traccia in area politica, pedagogica, della psicologia di comunità e nel settore medico e psicoterapeutico [Piccardo C., 1995] se pur con significati leggermente diversi. I processi sociosolidali nel gruppo empowered sono ben catalogati già da Mc Clelland [1975] che distingueva tra potere empowered e potere convenzionale mediante la contrapposizione tra le sue articolazioni: verità/manipolazione; coraggio/intimidazione; competenza/arroganza; espressività libera/gestione calcolata delle relazioni; assertività/difensività; culture delle relazioni tra pari/passività, intraprendenza/attesa passiva di istruzioni prima di agire. Le azioni comunicative elaborate nel modello di “Prevenire è Possibile”, utilizzato per l’indagine, sono state: responsabilizzazione, incoraggiamento (intraprendenza), informazione (indipendenza),  coinvolgimento (espressività), tranquillizzazione, sostegno (espressività) e gratificazione (attaccamento) i cui valori si implementano negli stili relazionali suscitatori di affinità per dialogicità, complementarità, incontro, disponibilità, integrazione, mediazione e riconoscimento,  favorite e perseguite dalla gestione della leadership mediante un sapiente incrocio tra stili partecipativi, autorevoli e tolleranti, già enunciati da Lewin, Likert e Fielder, le cui modulazioni conducono a funzioni di leadership organizzativa (controllo funzionalità e responsabilità motivante, dinamica, attivatoria, produttiva), creativa (inventiva, creativa e riflessiva coinvolgente, carismatica e consensuale), opportunistica (blanda e leggera, a maglie larghe, attenta e sapiente), invisibile (diffusa mediante sensori ed antenne, permeante e strategica), affettiva-relazionale (fidelizzante e affiliante).

Ciascuna di queste forme di pressione sul gruppo favorisce e orienta l’innesco di diverse modulazioni relazionali di affinità tra persone che, ai fini del miglioramento organizzativo, debbono tendere all’armonia tra i diversi processi in funzione degli obiettivi di lavoro del gruppo. Un buon leader dunque modulerà la sua leadeship in funzione delle relazioni in atto nel gruppo ed in funzione del compito istituzionale del gruppo medesimo.

L’ipotesi che regge la teoria delle personalità collettive di gruppo è che le personalità individuali (disposizioni del gruppo latente), la rete di relazioni (il gruppo palese), la leadership, il compito (la funzione ed il rapporto con l’utenza) siano gli ingredienti da analizzare per stabilire la qualità relazionale di un servizio e che, ove ci sia un eccesso di divaricazione tra di loro, si possa prevedere una crisi nel gruppo che si incarna nel burn out di qualche membro fino a processi di mobbing nel gruppo rendendolo dis-empowered.

 

2) Lo studio delle personalità collettive

Per più approfonditi riferimenti al concetto di personalità collettiva di gruppo si rimanda al lavoro di ricerca del gruppo “Prevenire è Possibile”; qui può essere sufficiente una breve discussione su tale termine, introdotto nel dibattito sui gruppi da Hinshelwood [1987]. Mediante il concetto di personalità collettiva ci si propone di leggere le caratteristiche relazionali di ciascun raggruppamento sociale (gruppo palese) in funzione della sua identità collettiva, ovvero della categoria sociale di gruppo a cui appartiene (gruppo di lavoro, classe scolastica, comunità, squadriglia o famiglia, ad esempio), mettendo in rapporto le relazioni con le personalità individuali dei membri (gruppo latente). Il modello di articola mediante la costruzione di una tipologia di sette processi gruppali incentrati sul controllo, sulla intraprendenza, sull’indipendenza, sulla emozionalità fusionale, sulla tolleranza, sulla sensibilità e sulla appartenenza. Queste diverse forme di relazionalità danno vita a diverse morfologie gruppali[3] ciascuna delle quali oscilla tra virtuosità o processi di crisi in funzione dell’equilibrio relazionale interno, più o meno armonico ed in rapporto con le tensioni emergenti dal gruppo latente, analizzato in funzione delle relazioni che ci si attendono tra le diverse personalità dei singoli aderenti al gruppo. Le relazioni in atto sono studiate mediante un test di valutazione della qualità relazionale, le relazioni attese mediante questionari individuali somministrati ai diversi membri del gruppo.

Le relazioni di affinità (riconoscimento, disponibilità, complementarità, incontro, dialogicità, integrazione, mediazione) e di opposizione (insofferenza, delusione, logoramento, evitamento, incomprensione, equivoco) sono tratte dalle ipotesi più accreditate presenti in letteratura (per una loro descrizione vedi Appendice). Dudine e Biancalani [2002] le discutono, rispettivamente,  come processi di Chiarezza dei compiti e dei ruoli, Orientamento al compito e pressione lavorativa, Autonomia, equità e disponibilità delle informazioni,  Coinvolgimento, Comfort e fluidità, Sostegno, Coesione.  K. De Vries [1997] individua i modelli di strutture patologiche organizzative come ossessive, paranoidi, schizoidi, isteriche e depressive (nei sottotipi di inattive, conservatrici, isolate, passive, demotivate, pessimiste).

 

3) L’analisi delle relazioni e l’individuazione di fattori predittivi del burn out e del mobbing nei servizi di ONTARIA.

La somministrazione del primo test sulle relazioni interne[4] agli operatori dei diversi servizi per minori mostra (Tabella 1) una ampia differenziazione dei valori tra i diversi servizi. I numeri presentanti in tabella sono i valori assoluti, mentre in tabella 2 viene calcolata in percentuale, sia per le opposizioni che per le affinità, la quantità di persone che intrattengono un certo tipo di relazione con gli altri membri del gruppo. Una ulteriore elaborazione (tabella 3) interpreta i dati  sulla base delle medie ottenute per ogni tipo di relazione tra operatori in numerosi gruppi di lavoro (82) analizzati con lo stesso metodo[5]. In tal modo i dati sono correlabili tra di loro e possono essere messi a confronto con i valori degli atteggiamenti di personalità individuale dei singoli membri del gruppo rilevate mediante il test clinico di personalità, di Prevenire è Possibile[6]. Tale test (210 item) attribuisce un diverso punteggio sui diversi assi della responsabilità, dell’intraprendenza, dell’indipendenza-autonomia, dell’espressività, della tranquillità-pacificazione, della sensibilità e dell’attaccamento. Tali termini, utilizzati per designare i tratti di personalità al positivo mostrano anche un risvolto negativo, ove si presenti un eccesso di squilibrio in una o più direzioni, rappresentate sugli assi del grafo radar (responsabilità vs ansia, intraprendenza vs aggressività, indipendenza vs distacco, espressività vs volubilità, tranquillità vs demotivazione, sensibilità vs rassegnazione, attaccamento vs dipendenza). 

 

 

TABELLA 1 VALORI ASSOLUTI

 

Cantolina

Mazzania

Ronaro

Marina

Rontermo

Antaria

MEMBRI DEL GRUPPO

5

10

6

6

6

4

INTEGRAZIONE

4

14

0

0

21

12

FASTIDIO

8

24

1

1

13

3

MEDIAZIONE

3

15

8

8

16

10

INCOMPRENSIONE

2

15

2

2

10

2

RICONOSCIMENTO

1

29

6

6

6

3

EQUIVOCO

4

17

0

0

11

4

DISPONIBILITA'

2

28

4

4

5

4

INSOFFERENZA

3

18

4

4

8

2

COMPLEMENTARITA'

0

16

0

0

7

3

DELUSIONE

16

56

14

14

18

10

INCONTRO

5

26

7

7

26

9

LOGORAMENTO

3

34

6

6

13

9

DIALOGICITA'

1

30

10

10

15

7

EVITAMENTO

6

25

12

12

14

7

 

TABELLA 2 Valori in % delle affinità e delle opposizioni

 

Cantolina

Mazzania

Ronaro

Marina

Rontermo

Antaria

INTEGRAZIONE

38,83

17,02

0,64

32,73

14,20

26,37

FASTIDIO

14,81

9,30

1,45

8,62

13,83

9,57

MEDIAZIONE

14,56

9,12

25,56

13,94

18,93

21,98

INCOMPRENSIONE

33,33

25,58

34,73

28,33

22,34

20,21

RICONOSCIMENTO

4,85

17,63

19,17

7,88

7,10

6,59

EQUIVOCO

7,41

6,59

0,14

5,09

11,70

12,77

DISPONIBILITA'

9,71

17,02

12,78

10,30

5,92

8,79

INSOFFERENZA

5,56

6,98

5,79

6,27

8,51

6,38

COMPLEMENTARITA'

0,49

9,73

0,32

8,48

8,28

6,59

DELUSIONE

7,41

13,18

23,15

18,80

12,77

6,38

INCONTRO

24,27

15,81

22,36

14,55

30,77

19,78

LOGORAMENTO

5,56

13,18

8,68

11,36

13,83

28,72

DIALOGICITA'

7,28

13,68

19,17

12,12

14,79

9,89

EVITAMENTO

25,93

25,19

26,05

21,54

17,02

15,96

 

 

TABELLA 3

 

Cantolina

Mazzania

Ronaro

Marina

Rontermo

Antaria

INTEGRAZIONE

17,952

7,868

0,295

15,128

6,565

12,191

FASTIDIO

15,436

9,692

1,508

8,978

14,410

9,976

MEDIAZIONE

8,394

5,256

14,732

8,035

10,914

12,668

INCOMPRENSIONE

12,156

9,329

12,666

10,331

8,147

7,371

RICONOSCIMENTO

4,607

16,730

18,191

7,477

6,738

6,257

EQUIVOCO

10,170

9,047

0,199

6,990

16,067

17,527

DISPONIBILITA'

9,028

15,829

11,884

9,581

5,503

8,175

INSOFFERENZA

8,443

10,603

8,797

9,523

12,934

9,700

COMPLEMENTARITA'

0,859

17,218

0,566

15,020

14,665

11,672

DELUSIONE

5,441

9,679

17,007

13,808

9,377

4,688

INCONTRO

11,419

7,436

10,521

6,843

14,476

9,306

LOGORAMENTO

4,099

9,722

6,406

8,379

10,203

21,191

DIALOGICITA'

5,679

10,667

14,950

9,453

11,537

7,713

EVITAMENTO

11,812

11,479

11,869

9,814

7,755

7,271

 

I valori presentati in Tabella 3 sono frutto della elaborazione delle percentuali di Tabella 2 mediante le medie ottenute con dai diversi item; mostrano così la significatività delle diverse relazioni nel gruppo palese. Con questa operazione tali valori sono comparabili con quelli presentati in Tabella 4: le propensioni di personalità ottenute mediante i test di personalità individuale descrivono le caratteristiche del gruppo latente nei diversi servizi. I valori rappresentano il punteggio medio delle disposizioni di personalità degli operatori dei diversi servizi.

 

TABELLA 4 Media delle propensioni di atteggiamento relazionale dei membri dei gruppi di lavoro

Cantolina

Mazzania

Ronaro

Marina

Rontermo

Antaria

RESPONSABILITÀ’

3

1,9

3,8

4,3

2,1

3,2

INTRAPRENDENZA

4,8

2,5

3,6

5,7

4,1

4,7

INDIPENDENZA

2,6

2,8

3,1

5,7

4,1

4,5

ESPRESSIVITÀ’

1,4

1,6

1,8

4

3,3

1,5

TRANQUILLITÀ’

1,4

1,7

2,5

2,6

1,3

2,7

SENSIBILITÀ’

1,6

2,2

3

3,7

2,5

2,5

ATTACCAMENTO

1,2

0,8

1,6

2,6

2,8

1,2

 

Il processo di calcolo che conduce all’ipotesi delle propensioni relazionali si fonda sull’incrocio dei punteggi di personalità individuale. E’ prevedibile, in sintonia con l’analisi delle relazioni nel gruppo palese, che i soggetti portatori di responsabilità abbiano affinità con coloro che manifestano aperta espressività o tranquillità, mentre siano in opposizione con quanti presentino elevati valori di indipendenza o di sensibilità. Le relazione di affinità tra “responsabili” e “espressivi” è definita “integrazione”, tra “responsabili” e “tranquilli” è definita “complementarità”. Le due relazioni di opposizione tra “responsabili” e “indipendenti” e tra “responsabili” e “sensibili” sono rispettivamente definite “insofferenza”, la prima e “incomprensione”, la seconda.

Lo schema complessivo delle relazioni attese a partire dalle propensioni relazionali è presentato in Tabella 5.

 

Tabella 5 Schema delle relazioni attese tra soggetti con propensioni di atteggiamento relazione fondato su alti punteggi nei diversi assi

Tipo di relazione attesa

Propensioni di atteggiamento relazionale

Modello di relazione

INTEGRAZIONE

Responsabilità e espressività

AFFINITA’

FASTIDIO

Attaccamento e tranquillità

OPPOSIZIONE

MEDIAZIONE

Intraprendenza e tranquillità

AFFINITA’

INCOMPRENSIONE

Responsabilità e sensibilità

OPPOSIZIONE

RICONOSCIMENTO

Indipendenza e sensibilità

AFFINITA’

EQUIVOCO

Attaccamento e intraprendenza

OPPOSIZIONE

DISPONIBILITA'

Espressività e attaccamento

AFFINITA’

INSOFFERENZA

Responsabilità e indipendenza

OPPOSIZIONE

COMPLEMENTARITA'

Responsabilità e tranquillità

AFFINITA’

DELUSIONE

Intraprendenza e espressività

OPPOSIZIONE

INCONTRO

Sensibilità e intraprendenza

AFFINITA’

LOGORAMENTO

Indipendenza e tranquillità

OPPOSIZIONE

DIALOGICITA'

Indipendenza e attaccamento

AFFINITA’

EVITAMENTO

Espressività e sensibilità

OPPOSIZIONE

 

Dunque il percorso di comparazione tra le propensioni individuali e le relazioni atto nel gruppo palese può essere effettuato allo scopo di evidenziare l’area critica compresa tra le linee del grafo delle relazioni atto con quelle del grafo tra le relazioni potenziali. Ci si attende che in tale area critica possa essere individuata la ragione delle crisi reali e potenziali del gruppo.

La successiva Tavola 1 mostra le personalità collettive dei gruppi palesi e latenti: le linee interne del grafo a sinistra rappresentano i punteggi individuali ottenuti nel test di personalità e la linea più scura la media[7], nel grafo a sinistra le due linee più sottili interne mostrano le affinità e le opposizioni mentre la linea più spessa la somma delle due tensioni relazionali.

 

Tavola 1 Grafi delle relazioni potenziali nel gruppo latente (a sinistra) e grafi delle relazioni in atto nel gruppo palese (a destra) nei diversi servizi analizzati


 Cantolina


 Mazzania


Ronaro 


Marina

Rontermo


  


 Antaria 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In particolare Cantolina mostra una forte tensione al coinvolgimento interpersonale nei rapporti interni (gruppo palese) che fa assumere al gruppo una struttura ottimista e scanzonata, ciò dipende probabilmente dal fatto che le personalità dei singoli hanno un assetto molto organizzativo e motivato; Mazzania mostra relazioni molto equilibrate con una lieve caduta sul piano dell’intraprendenza, le caratteristiche di personalità individuali si equilibrano bene tra di loro; nel servizio di Ronaro, a fronte di personalità rigide, il gruppo non ha relazioni organizzate, c’è una bassa unità e le relazioni denotano rassegnazione; nel servizio di Marina la struttura è coinvolta ed organizzata,  le personalità individuali si armonizzano pur se con un eccesso di rassegnazione che si riscontra nella linea delle opposizioni del grafo di personalità collettiva; Rontermo presenta relazioni complessivamente equilibrate con tendenza alla demotivazione forse proprio per controbilanciare personalità fortemente attive ed intraprendenti; il servizio di Antaria,

a fronte di una potenziale motivazione, ha una personalità collettiva demotivata, con punte di opposizioni su invischiamento e distacco.

Le forme dei due grafi sono complessivamente dissimili ma tale discordanza non è ancora un fattore predittivo di crisi giacché nei grafi sono contenute sia le relazioni di affinità che quelle di opposizione. Concettualmente le dimensioni di affinità relazionale hanno la potenzialità di far assumere al gruppo diverse forme: lo rendono elastico e permeabile al cambiamento, tendenzialmente nella direzione più congeniale alle sue predisposizioni che possono essere desunte dai picchi del grafo del gruppo latente (in tavola 1 a sinistra). Lo studio delle opposizioni interne al gruppo (reali e potenziali) consente di comprendere quali siano i profili critici delle relazioni giacché, se è vero che un gruppo può trovare equilibrio anche mediante processi di opposizione, è ancor più vero che tale equilibrio non è elastico ed una oscillazione anche lieve può produrre conflitti concatenati. 

Per l’analisi del potenziale burn out e del potenziale mobbing è pertanto necessario osservare la sola differenza di valori tra i caratteri oppositori (frutto dell’incrocio tra le relazioni di opposizione) riportati in Tabella 6 e 7 e mostrate nei grafi di Tavola 2. La definizione di gruppo “rigido” nasce dalla prevalenza di relazioni di incomprensione e insofferenza, di gruppo “agitato” da relazioni di equivoco e delusione, di gruppo “diviso” da relazioni di insofferenza e logoramento, di gruppo “scanzonato” da relazioni di delusione e di evitamento, di gruppo “demotivato” da relazioni di logoramento e fastidio, di gruppo “rassegnato” da relazioni di evitamento e di incomprensione e di gruppo “invischiato” da relazioni di equivoco e di fastidio.

 

 

 

Tabella 6

Valori assoluti

OPPOSIZIONI nelle relazioni del gruppo palese

OPPOSIZIONI attese nel gruppo latente

 

 

OPPOSIZIONI nelle relazioni del gruppo palese

OPPOSIZIONI attese nel gruppo latente

cantolina

rigido

20,60

9,40

marina

rigido

19,85

16,55

agitato

15,61

11,54

agitato

20,80

16,65

diviso

12,54

8,85

diviso

17,90

16,92

scanzonato

17,25

8,60

scanzonato

23,62

16,00

demotivato

19,53

6,09

demotivato

17,36

12,49

rassegnato

23,97

7,01

rassegnato

20,15

14,42

invischiato

25,61

8,08

invischiato

15,97

12,49

mazania

rigido

19,93

8,10

rontermo

rigido

21,08

9,97

agitato

18,73

6,88

agitato

25,44

13,16

diviso

20,33

8,48

diviso

23,14

10,83

scanzonato

21,16

7,28

scanzonato

17,13

12,13

demotivato

19,41

6,48

demotivato

24,61

8,89

rassegnato

20,81

7,26

rassegnato

15,90

9,56

invischiato

18,74

5,43

invischiato

30,48

10,17

ronaro

rigido

21,46

12,59

antaria

rigido

17,07

12,33

agitato

17,21

9,85

agitato

22,22

11,42

diviso

15,20

11,49

diviso

30,89

13,74

scanzonato

28,88

9,44

scanzonato

11,96

9,52

demotivato

7,91

8,93

demotivato

31,17

10,28

rassegnato

24,53

10,68

rassegnato

14,64

8,93

invischiato

1,71

8,62

invischiato

27,50

9,22

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tabella 7

Valori in %

OPPOSIZIONI nelle relazioni del gruppo palese

OPPOSIZIONI attese nel gruppo latente

 

 

OPPOSIZIONI nelle relazioni del gruppo palese

OPPOSIZIONI attese nel gruppo latente

cantolina

rigido

15,24

15,77

marina

rigido

14,63

15,68

agitato

11,55

19,37

agitato

15,33

15,77

diviso

9,28

14,85

diviso

13,19

16,03

scanzonato

12,76

14,43

scanzonato

17,41

15,16

demotivato

14,45

10,22

demotivato

12,79

11,83

rassegnato

17,74

11,76

rassegnato

14,85

13,66

invischiato

18,95

13,56

invischiato

11,77

11,83

mazania

rigido

14,32

16,22

rontermo

rigido

13,36

13,34

agitato

13,46

13,78

agitato

16,12

17,61

diviso

14,61

16,99

diviso

14,66

14,49

scanzonato

15,21

14,58

scanzonato

10,85

16,23

demotivato

13,95

12,98

demotivato

15,59

11,89

rassegnato

14,95

14,54

rassegnato

10,07

12,79

invischiato

13,47

10,87

invischiato

19,31

13,61

ronaro

rigido

18,35

17,58

antaria

rigido

10,98

16,34

agitato

14,72

13,75

agitato

14,29

15,13

diviso

13,00

16,04

diviso

19,87

18,21

scanzonato

24,70

13,18

scanzonato

7,69

12,61

demotivato

6,76

12,47

demotivato

20,05

13,62

rassegnato

20,98

14,91

rassegnato

9,41

11,83

invischiato

1,46

12,03

invischiato

17,69

12,22

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ad eccezione di Mazzania e Marina la comparazione tra i grafi con i punteggi in percentuale mostra opposizioni critiche nel gruppo palese. Complessivamente i punteggi delle opposizioni attese nel gruppo latente sono più armonici di quelli delle relazioni in atto.  Le opposizioni che si incontrano invece nell’analisi del gruppo palese mostrano invece alcune prevalenze ed i grafi che le rappresentano mostrano frastagliamenti e picchi critici. In particolare nei grafi di Cantolina, Ronaro, Rontermo e Antaria. Le propensioni di personalità individuale non avrebbero esiti fortemente oppositivi nel gruppo, giacché le personalità si equilibrano tra di loro.


  

Ciò sta a significare che le tensioni nel gruppo di lavoro dipendono dall’esterno del gruppo e cioè dalle relazioni attuate nella gerarchia (la direzione) o da processi critici scaturiti dal contatto con gli utenti del servizio. Infatti la professione d’aiuto, più di altre professioni, impegna la soggettività l’individuo, obbligandolo a confrontarsi con la difficoltà di attribuzione di senso agli avvenimenti della vita umana, con i nuclei emotivi più profondi, con quote di complessità e di incertezza, che possono diventare ansiogene, angoscianti, depressive, oppure portare ad una eccesso di distacco emozionale o, al contrario, ad un eccesso di coinvolgimento affettivo, ad una demotivazione che spegne la volontà o ad una interiorizzazione marcata del vissuto altrui che rende gli operatori impressionabili e fragili.

Per verificare il tipo di crisi predittiva di burn out o di mobbing nei servizi che mostravano linee relazionali interne non armoniche, si è utilizzata la metodologia narrativa della raccolta di storie di lavoro con l’utenza. Si è così tralasciata l’ipotesi di individuare nello stile di gestione da parte dei leader dei gruppi  la possibile causa dello stress relazionale vissuto dagli operatori. Non tanto perché tale ipotesi fosse inconcepibile quanto per il fatto che la leadership era il committente della ricerca e non avrebbe accettato la messa in discussione aperta del suo stile. Nel lavoro concreto di formazione sono stati dati adeguati consigli e suggerimenti finalizzati al miglioramento dello stile relazionale, con indicazione operative anche in merito alla costituzione dei gruppi e sottogruppi di lavoro mediante abbinamenti più produttivi.

In particolare l’analisi su Cantolina ha mostrato come il coinvolgimento interpersonale che faceva  assumere al gruppo una struttura ottimista e scanzonata (vedi Tavola 1)  nasconde un potenziale conflitto per eccesso di agitazione nell’attività e che ciò potrebbe dipendere dall’eccesso di invischiamento da parte di alcuni membri del gruppo. In questo servizio è sembrato necessario consigliare una ricomposizione dei gruppi di lavoro per depotenziare qualche coalizione interna che poteva, in prospettiva, minare l’unità complessiva. Le rigidità personali incontrate nel gruppo di servizio di Ronaro, hanno trovato conferma nella forte rassegnazione e nella forte scanzonatura. La bassa unità riscontrata in precedenza ha una conferma nell’ancor più basso invischiamento. Il gruppo è dunque privo di baricentro relazionale, anche quello minimo legato a possibili microcoalizioni. Qui l’indicazione è stata quella di potenziare le dimensioni organizzativa, costruire gruppi di intervento e responsabilizzare i singoli operatori. L’atteggiamento della leadership, che per insicurezza (timore di mobbing verticale) aveva cercato di dividere il gruppo e di distribuire il lavoro individualmente, doveva essere ribaltato. Rontermo presenta potenzialità di agitazione di scanzonatura, i suoi operatori sono particolarmente vivaci ma le relazioni in atto segnano alti punteggi sulla demotivazione e sull’invischiamento complessivo nel gruppo. I consigli dati alla leadership sono stati quelli di aumentare la gratificazioni anche per prevenire possibili contrasti con la dirigenza che è apparsa troppo rigida. Ancora più acuto e critico il punteggio sull’asse della demotivazione di Antaria, che si è visto dipendere dalla divisione interna frutto di una eccessiva ricerca di autonomia da parte dei membri.

Nessuno dei servizi è sulla soglia di qualche collasso relazionale e, ad eccezione di Ronaro, e forse Antaria, non ci sono elementi fortemente predittivi di fenomeni di burn out o di  tensioni conflittuali assimilabili al mobbing.

I punti critici dei grafi potrebbero quindi essere legati al rapporto con una utenza difficile e con procedure di lavoro complicate. Le storie di lavoro raccolte danno ragione a questa ipotesi.

 

4) Analisi delle storie presentate

“C., imputata di un reato di calunnia nei confronti del proprio padre, è alla sua prima esperienza penale. C. ha lavorato come apprendista ma ha lasciato il lavoro perché il padre considerava costosi i corsi di specializzazione che la professione richiedeva. Nell'ambito del procedimento penale a suo è stata  disposta la sospensione del processo e messa alla prova per un periodo di sei mesi. Inizialmente la giovane ha seguito scrupolosamente tutte le indicazioni degli operatori rispettando puntualmente ogni appuntamento e impegno previsto dal progetto anzi si recava spesso in ufficio anche senza appuntamento per condividere qualsiasi problema le si presentasse e ricevere aiuto e sostegno dagli operatori con i quali aveva instaurato un rapporto di fiducia. Dopo i primi due mesi C. ha iniziato a lamentare nuovamente dissidi con il padre, che si opponeva e non autorizzava le continue uscite serali della figlia con orari di rientro inaccettabili. In realtà anche C. ammetteva di condurre una vita sregolata, di rientrare anche nelle prime ore del mattino sostenendo, però, a sua discolpa, di comportarsi così perché incapace di tollerare il clima familiare divenuto ultimamente sempre più ostile ...i genitori hanno perso il controllo della situazione, la minore ormai gestiva autonomamente la sua vita mostrando il totale rifiuto di qualsiasi regola...il servizio ha così provveduto a collocare C. presso un Istituto. Dopo soli due giorni  la minore è scappata ed ha fatto ritorno nella sua città. Per non compromettere la messa alla prova C. è stata trasferita presso una comunità femminile dove, sin  dal suo ingresso, ha messo in atto comportamenti oppositivi nei riguardi sia degli operatori che delle altre ospiti della struttura e durante i colloqui con gli stessi operatori ha rivelato problematiche legate all'uso, mai ammesso, di sostanze stupefacenti. C. ha inoltre picchiato le compagne di stanza e danneggiato alcune finestre della struttura. Gli operatori hanno ricondotto la ragazza in famiglia perché incapaci di far fronte ai suoi atteggiamenti ribelli ed ostili. Poco dopo il suo ritorno C. si è recata spontaneamente presso l'ufficio affermando di non essere disposta ad accettare più alcun tipo di provvedimento che la riguardi e di non essere disposta neppure a continuare a vivere all'interno del suo nucleo familiare. La messa alla prova della giovane è stata giudicata negativa ed è stato disposto il rinvio a giudizio”.

“F. ha fatto ingresso in comunità sottoposto all’istituto della messa alla prova per il reato di omicidio. Proveniva dal locale istituto penale ed ai miei occhi si presentò non un ragazzino ma un uomo. In base a quanto i miei colleghi educatori mi dissero, che lo avevano avuto in carico precedentemente, non aveva alcuna emozione e la comunicazione che più mi sorprese era il fatto che non sapesse sorridere... Non parlava, amava il silenzio e la solitudine....I mesi trascorsi in comunità sono stati caratterizzati da un lavoro pressante e costante teso alla ricostruzione della sua vita esteriore ed interiore ma soprattutto rivolto a creare le condizioni necessarie affinché potesse sostenere un incidente probatorio che lo avrebbe potuto riscattare. Giornate intere a rileggere deposizioni e fascicoli, a ripetere quel che avrebbe dovuto dire…….e alla fine un buco nell’acqua: si è avvalso della facoltà di non rispondere. L’aula del Tribunale mi è crollata addosso, la delusione mi apparteneva come non mai, era stato tutto lavoro perso?”. Gli operatori di Cantolina mostrano una determinazione ed un impegno significativo che si scontra con l’eccesso di invischiamento con l’utenza. Nel primo caso C. non viene mai messa in discussione sul significato della sua acuta ribellione verso la famiglia e il padre, nel secondo è attiva una forte protezione del ragazzo colpevole di omicidio. Ciò che colpisce nella storia è che non emerga nulla della struttura psicologica del ragazzo e della catena di eventi che lo hanno condotto a commettere un omicidio. Tutta la tensione è rivolta a garantirgli la giusta ed opportuna capacità di difendersi. Il fatto di non intervenire per far emergere il senso di colpa e per far elaborare un vissuto tragico genera equivoco. Da un lato c’è la tensione di agitazione per la difesa dei diritti di un imputato minorenne, dall’altro un forte attaccamento verso di lui. La storia, di cui si è riportato uno solo stralcio, mostra i pericoli dell’invischiamento, quasi sempre prodotto dalla manipolazione.

Chi manipola induce all’azione con l’inganno senza rispetto per l’altro, consapevole di agire secondo il principio del fine che giustifica i mezzi. La condizione del manipolato è quella di non riconoscere con chiarezza quanto gli viene detto o non detto, o fatto credere. Uscire dall’imbroglio richiede un testimone esterno capace di ridare consapevolezza e di oggettivare la situazione di vita e di pensiero che viene drammaticamente vissuta nel corso dell’imbroglio. La trasparenza e la comunicazione sono gli antidoti alla manipolazione. La narrazione può essere utilizzata come processo di uscita dalla crisi e come contenimento del burn out dell’operatore.

 

La storia emblematica presentata da un operatore di Ronaro riguarda la rassegnazione.

“T., 19 anni, arrestato per furto a 16 anni, attualmente imputato per reati di scippo, rapina, rissa, minacce e lesioni in quattro procedimenti ancora in corso in fase dibattimentale, ha alle spalle un vissuto familiare e personale di sofferenza e privazione affettiva ed educativa, per la condizione di tossicodipendenza di entrambi i genitori... gli operatori vengono coinvolti perché da lui riconosciuti come figure significative e per aiutarlo a conseguire la licenza media. Ma nonostante la rete di interventi tutti i tentativi per “agganciare” il giovane sono falliti; il suo atteggiamento quasi fatalista e passivo mi fa “arrabbiare” e allo stesso tempo mi “smonta”. Nei colloqui, quando si presenta, mi guarda, mi ascolta, parla pochissimo ma racconta le sue bravate sorridendo, con superficialità, come se la cosa non lo riguardasse. Insomma i miei interventi sembrano improduttivi, vani, direi inutili, e forse mi sto arrendendo all’idea che per T. non rappresento una risorsa. Lui é abituato a far da sé, perché  dovrebbe credere che qualcuno vuole aiutarlo seriamente? Sembra che voglia giocare con la vita per assaporare la spensieratezza che non gli è mai appartenuta. E il resto.. “ vada come deve andare…” così mi dice, in uno degli ultimi incontri”. 

Il modello del grafo mostra un forte coinvolgimento “scanzonato” degli operatori che sembrano non riuscire a legarsi con l’utenza in ragione di una loro condizione di “diversità” non mediata dall’incontro interpersonale significativo. C’è qualcosa di irreale in tale coinvolgimento: il dialogo con T. è impossibile perché egli non ha voglia di illudersi  L’illusione ha come esito la disillusione, così come il coinvolgimento scanzonato ha come esito la delusione. Il processo dell’illusione/disillusione conduce all’angoscia verso la quale T. scivola mediante rassegnazione “scherzosa”. L’antidoto sarebbe la concretezza: dare a lui l’occasione per mettere i piedi per terra e far aprire la coscienza a ciò di cui si ha davvero bisogno.

Anche una seconda storia di Ronaro conduce alla rassegnazione. “Il ragazzo manifesta condotte  aggressive e autolesive. Tutto il trattamento è  centrato sulla sfera relazionale, sul sostegno del suo ruolo di padre e  del suo rapporto affettivo.  Minore attenzione verrà dedicata agli aspetti clinici di una sofferenza che ha certamente radici antiche. A. assume farmaci stabilizzanti dell’umore e ansiolitici, ma non li accetta psicologicamente, né sembra ottenerne vantaggi concreti. L’èquipe dovrà presto prendere atto dell’impossibilità per A. di contenere le pulsioni eteroaggressive (nei confronti della compagna e dei genitori stessi) e di  collaborare a qualsiasi ipotesi terapeutica/trattamentale. Falliscono uno dietro l’altro i tentativi di inserimento in comunità, l’attivazione di  risorse territoriali  peraltro estremamente deficitarie.  L’obiettivo di responsabilizzarlo in ordine al suo ruolo genitoriale appare del tutto velleitario e forse completamente  fuorviante rispetto   ai bisogni reali del ragazzo. Tra un arresto e l’altro A. colleziona fino a tredici procedimenti penali, mentre la sua compagna, anche lei fortemente problematica, lo abbandona  portando con sé il figlio. I suoi genitori fuggono letteralmente dalla città di residenza per stabilirsi  con una figlia più docile ed equilibrata.  Dopo averli cercati  per ottenere ancora riconoscimento, accudimento, sostegno, A. sperimenta per l’ennesima volta l’impossibilità di essere amato ed accettato dai genitori. Il giovane è  ancora oggi detenuto. L’èquipe non sembra più  avere risorse e/o progetti mirati e realistici. Non ho più parole”.

 

La demotivazione a Rontermo è probabilmente frutto di aspettative troppe alte ed immediate.

“M., 17 anni, condannato alla pena di due anni di reclusione per la commissione del reato di rapina aggravata. Abbandonato dal padre, vive con la madre, il nuovo marito e due fratelli nati dal nuovo rapporto. Il ragazzo più volte bocciato in seconda media, aveva abbandonato la frequenza scolastica e, successivamente, parecchi lavori a motivo dell’assoluta incapacità di sottostare alle direttive dei datori di lavoro. Durante i due anni di detenzione è apparso molto loquace, quasi al limite della logorrea, ed iperattivo e “onnipresente” nelle relazioni interne al gruppo dei pari. Spesso irrequieto e redarguito dal punto di vista disciplinare. Negli ultimi mesi della sua detenzione avevo pensato d’essere riuscito a stabilire un costruttivo rapporto educativo. Il ragazzo mi cercava spesso ed a volte, durante i colloqui, stava ore intere a parlarmi di se, del suo passato, di come era pervenuto a commettere vari reati, aprendosi a confessioni. Purtroppo, dopo un mese dalla sua scarcerazione, leggendo sul giornale la pagina di cronaca nera, ho appreso, con mio grande dispiacere (ricordo che provai un sentimento di delusione per parecchie settimane), che egli era stato arrestato per aver eseguito una rapina ai danni di un supermercato e, poiché durante la sua detenzione presso la struttura dove opero, era divenuto maggiorenne, era stato condotto presso una nota Casa Circondariale”. Il processo psicologico della demotivazione nasce sia dalla difficile realtà di lavoro in cui l’operatore è inserito sia per un eccesso di aspettative. Le aspettative sull’esito delle azioni sono una trappola per chi attende risposte direttamente congruenti ai comportamenti espressi. L’impegno non paga mai in termini meccanici e congruenti, ma produce effetti di effetti i cui esiti si fanno attendere. Spesso la demotivazione dipende da aspettative troppo alte e da eventi vissuti come sconfitte delle quali è difficile scoprire il perché. Il demotivato si sente sotto esame e non accetta di essere sempre impreparato. Allora sospende l’interesse e chiude le sue energie. La persona demotivata sente su di sé il peso dell’insuccesso, si attribuisce la colpa e si ritaglia limiti entro cui stare che, col tempo, diventano sempre più stretti. Perde forza ed intenzionalità e ulteriormente si sente insufficiente ed incapace. La sfida alla demotivazione parte dalla riscoperta della propria innocenza. Il demotivato non ha colpa poiché ha fatto quanto poteva, ha reagito, si è impegnato, si è anche battuto ma qualcosa o qualcuno hanno impedito che le sue imprese avessero successo.

 

5) Conclusioni

L’analisi relazionale dei gruppi mostra grandi potenzialità laddove, invece di studiare semplicemnte la struttura di un servizio, si riesca ascendere in profondità nel modo di stare insieme e di rapportarsi tra operatori.  Nei gruppi intervistati non è apparso alcun fenomeno attuale di mobbing anche se la crisi degli operatori, legata al difficile rapporto con una utenza difficile, mostra connotati anche gravi che potrebbero ripercuotersi sul sistema relazionale. Non sono apparsi meccanismi di attribuzione di colpa ad altri colleghi né scarichi di responsabilità che sono invece complessivamente autoattribuite dagli operatori. Ciò impedisce, al momento della ricerca, l’innesco di conflitti ma solo la formazione di opposizioni interne ai gruppi che possono essere ricondotte ad equilibrio.

Le potenzialità individuali degli operatori possono essere giocate nella direzione del processo di empowering attraverso una miglior condivisione delle esperienze. Una volta raccolto il vissuto degli operatori, attraverso la narrazione delle loro esperienze, sono state comprese le difficoltà dei singoli ed è aumentato il riconoscimento interpersonale nei gruppi di servizio migliorando, attraverso la comprensione partecipata delle difficoltà altrui, le propensioni di relazionalità affine e sociosolidale.

6) Appendice: Descrizione sintetica delle 14 modulazioni relazionali

La disponibilità è una relazione di dono reciproco gradito dall’altro perché opportuno nei modi e nei tempi. Per questo motivo la disponibilità dell’uno sazia il bisogno dell’altro. La disponibilità infatti è una potenzialità che si trasforma in atto non appena venga intuita dall’uno la richiesta (magari nemmeno espressa verbalmente) dell’altro. La reciprocità non è determinata dallo scambio di doni equivalenti ma dalla scelta di dare il “meglio di sé” e dalla consapevolezza che l’altro stia dando il “meglio di sé”. La disponibilità è l’antidoto dell’insofferenza perché non valuta la adeguatezza del comportamento ma la sua intenzione.

L’insofferenza si verifica quando due o più persone oppongono costrutti articolati di comportamento. Ad esempio uno è ordinato, preciso, metodico, ripetitivo, l’altro è  confusionario, vago, innovativo e creativo. Si è insofferenti nei confronti dell’orientamento complessivo dell’altro. “Non si può sempre improvvisare!”, dice l’uno e l’altro fa eco: ”Tu vuoi fare sempre le stesse cose!”. La presa di coscienza dell’insofferenza si accompagna alla spiegazione delle tensioni, rabbie, aggressività o depressioni interne alla relazione che, nel divenire sempre più frequenti e minacciose, hanno esiti nel risentimento reciproco, nel litigio e nella violenza.

Complementare è ciò che serve al completamento vicendevole. Questa è la relazione in cui ciò che sembra  contraddittorio diventa compatibile. L’agire complementare implica la coscienza degli attori della complementarità medesima e l’assunto, un po’ meccanicistico, derivato dalla pragmatica comunicativa di Palo Alto, sulla modulazione tipizzata up – down di tale relazione, non rende giustizia al valore di questa relazione di affinità. Se è vero che la simmetria può essere anche semplicemente reattiva, la complementarità si fonda sulla consapevole attesa che l’uno farà le cose che non sono fatte dall’altro. Si fonda sulla serena accettazione delle caratteristiche di ciascuno e sulla naturale scoperta che l’altro abbia fatto esattamente ciò che c’era bisogno di fare, o che appariva con evidenza utile e necessario. Lo sfondo della complementarità è la tranquillità e il realismo. La complementarità è l’antidoto alla delusione perché non formula aspettative fantastiche sul comportamento dell’altro e non conduce ad illusioni.

La delusione s’impianta stabilmente quando due persone avevano interpretato, illudendosi, il comportamento dell’altro in sintonia con le proprie aspettative. La delusione può manifestarsi improvvisamente, a seguito di un tradimento o di un inganno, ma essa cresce lentamente in piccole esperienze poco percettibili. La delusione prende forma attraverso il dubbio non esprimibile e non chiarificabile, diventa negativa certezza, deprimente ed angosciante, e conduce al disorientamento ed alla ricerca di sublimazioni dei desideri inappagati.

Incontro. E’ nella relazione di incontro che si manifesta lo stupore di aver trovato nelle potenzialità dell’altro ciò che manca a ciascuno. Un incastro tra chi trova qualcuno per cui lottare e chi trova qualcuno che lo protegge, tra chi orienta le azioni e chi le riempie di coraggio. E’ l’antidoto del logoramento perché presuppone la assoluta diversità dell’uno dall’altro, compresa l’estraneità dei modelli mentali e degli schemi d’azione, ma impegna in un rapporto per cui tale diversità dell’altro è una potenza a cui ciascuno può attingere.

Logoramento è frutto di una relazione che, a fronte di attese diverse dal solito menage, si esprime in un sequenza di manifestazioni effusive estemporanee, appariscenti ed estetizzanti,  “sopra le righe”, ma poco chiare e troppo superficiali per essere introiettate come parte stabile e confermante della cultura e delle tradizioni della coppia o del gruppo. Si avverte attraverso l’angoscia esistenziale o l’emersione di comunicazioni isteriche a cui non viene dato alcun feed back.

Dialogicità. Un dialogo è possibile quando ci sono cose da dire e c’è un contesto in cui possono essere dette. La diade (o il gruppo) dialogica riesce a discutere di ogni cosa, senza litigare o disperdere la relazione e senza allontanarsi l’uno dall’altro. Anche di fronte agli atteggiamenti o alle opinioni più divergenti riesce a distinguere tra parole e fatti e a coniugare l’affetto con la stima. E’ l’antidoto all’evitamento: ciascuno si mette in gioco senza tensioni. Le persone non esprimono emozioni impressionanti, né si lasciano fuorviare da manifestazioni appariscenti.

Evitamento: la differenza tra sensibilità ed emotività consiste nella diversa profondità interiore raggiunta da un vissuto. La persona sensibile viene invasa dalle emozioni che sperimenta, la persona emotiva reagisce con immediatezza nel suo comportamento esteriore senza assorbire in profondità le emozioni vissute. La persona sensibile si presenta come inibita e impacciata, la persona emotiva appare disinibita. L’evitamento è conseguente all’impossibilità di condividere vissuti emozionali simili, ma diversamente assimilati, e produce una distanza di indifferenza.

Integrazione è, in senso generico, il processo di rendere pieno e intero un oggetto. In senso relazionale contiene un valore di reciprocità tra entità complesse che si muovono dinamicamente per far funzionare insieme caratteristiche e risorse di tipo diverso. Si integra pertanto la razionalità con le emozioni, la tecnologia con i simboli, la narrazione con la logica, la partecipazione con la differenziazione, ecc…l’integrazione è l’armonica organizzazione del gioco delle parti, dei compiti, delle funzioni e dei ruoli. Vi è integrazione quando nessuno travalica o tradisce le aspettative che l’altro aveva riposto su di lui: le aspettative in gioco nell’integrazione, in quanto già oggettivate a priori e non debordanti gli schemi, valorizzano il contributo di ciascuno. L’eccesso di integrazione è anche causa di perdita di identità per conformismo ed adattamento. L’integrazione è l’antidoto del fastidio relazionale perché quando le identità sono rispettate, è possibile distinguere le parti di ciascuno che si possono sovrapporre all’altro da quelle parti che richiedono maggior distanza relazionale se non reciproco isolamento

Fastidio è percezione di gesti, modi di fare, odori, rumori, sapori, immagini emanati da una persona nei confronti della quale si ha una reattività di rifiuto “a pelle”. Si accompagna con forme di rassegnazione o di sopportazione dell’altro. Il fastidio nella relazione aumenta o diminuisce in funzione della distanza relazionale tra i membri: il fastidio compare quando la distanza relazionale si fa più intima.

La mediazione consiste nel trovare un accordo che non implica la piena sovrapposizione al vissuto altrui ma la semplice moderazione del rifiuto o della accettazione incondizionati. La mediazione costruisce un senso comune perché negoziando sulla quantità di energie necessarie per accomunarsi nell’ottenimento di un fine, modera gli eccessi e stimola le carenze individuali nel rispetto dei personali modi di essere. E’ l’antidoto all’incomprensione perché negozia i significati e libera dal controllo reciproco. Il blocco dell’incomprensione viene superato dall’azione verso qualche fine. L’attività permette di trovare e dare un senso a ciò che si fa, attraverso l’individuazione di quelle parti su cui si può negoziare.

Incomprensione è l’incapacità di trovare il senso del comportamento che l’altro mette in atto. Sebbene sia chiaro ed evidente ciò che l’altro fa e perché lo fa, i membri della coppia non ne condividono il senso. Ciascuno non capisce come mai l’altro non capisca che ciò che egli fa non è quello che si deve fare in quella circostanza. Il confronto è sterile perché ciascuno pensa: “Possibile che non capisca che…?”. L’incomprensione è tipica delle relazioni in cui non collimano le priorità, i valori e le concezioni e, pertanto, struttura l’impossibilità di condividere metodo e scopo dei comportamenti, eleva il livello di controllo ed osservazione del comportamento dell’altro e depotenzia l’affettività reciproca.

Riconoscimento è quel processo in cui l’uno scopre nell’altro gli stessi suoi vissuti, anche se il percorso di scoperta è assolutamente differente. L’uno perviene al riconoscimento attraverso un processo intuitivo, capisce cioè cosa voglia dire ciò che l’altro vive, l’altro sente e fa propria l’onda emotiva che muove il primo e la fa sua. E’ l’antidoto dell’equivoco in quanto permette la comprensione profonda dei movimenti interni, delle aspirazioni, dei sogni e dell’incontro dei valori di ciascuno.

Equivocità. In linea generale c’è equivocità nei comportamenti quando le azioni non sono sinergiche ed orientate allo stesso fine o, se orientate allo stesso fine, sono svolte in modi e tempi diversi o con logiche diverse o espresse con emozioni diverse. Nell’equivoco non riesce la sovrapposizioni dei vissuti perché ciò che viene comunicato a parole trova origine in stati mentali non espressi. Non c’è dunque intesa nella realizzazione di attività ed impegni e nell’espressione delle energie riversate lungo binari che non si incontrano mai. Una coppia (o un gruppo) si trova a vivere una situazione equivoca quando al suo interno non c’è un’intesa stabile ed una configurazione definita, frutto di scelte comuni e concordate. L’equivoco conduce alla caduta della fiducia, alla diffidenza, al controllo sul comportamento altrui finalizzato alla soddisfazione dei propri interessi egocentrici. Per questo l’equivoco spesso si fissa in comportamenti ripetuti.

 

 

Bibliografia

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[1] Il saggio è da considerarsi il frutto di una riflessione comune, ad ogni modo Barbagli Lorenzo è responsabile della redazione dei paragrafi 1 e 2 , Masini Vincenzo dei paragrafi  3 e 4.

[2] Tensione di carica emotiva e cognitiva dalle valenze positive che potenzia l’autoefficacia attraverso il risveglio, la concentrazione e la massimizzazione delle prestazioni.

[3] 1. Gruppi rigidi/organizzati: sono questi gruppi la cui struttura relazionale si fonda principalmente sull’integrazione e la complementarità all’interno e verso l’esterno, i cui obiettivi primari sono il raggiungimento degli obiettivi ed il mantenimento delle strutture, dei ruoli e delle funzioni. Si collegano alla visione meccanica delle organizzazioni e si contraddistinguono per una visone utilitarista delle attività.

I suoi punti di forza sono il realismo e la solidità, il senso della realtà e la saggezza strategica, la difesa dei propri spazi, la stabilità e la capacità organizzativa. I suoi punti deboli sono però la lentezza burocratica, l’eccessiva precisione e scrupolosità, la rigidità e la freddezza nelle relazioni, e la forte gerarchia interna.

2. Gruppi intraprendenti/conflittuali: le dimensioni relazionali in affinità prevalenti in questo genere di gruppo sono la mediazione e l’incontro, pertanto, si connotano come gruppi con un alto livello di energie interne, di attivazione e di dinamicità interna ed esterna. L’intraprendenza e l’azione sono il valore fondante di questi gruppi che esprimono una grande forza propositiva e ottime capacità di problem solving e di organizzazione. In senso negativo, caratterizzati dalla alta conflittualità che si origina dalle dinamiche interne in opposizione di equivoco e di delusione, possono diventare gruppi litigiosi e incontenibili.

3. Gruppi creativi/dissolventi: il gruppo organizzativo di questo genere si fonda invece sulla differenziazione e sul riconoscimento delle libertà individuali, sui diritti personali e sull’ideazione creativa. Dalla loro parte, centrati sulle affinità della dialogicità e del riconoscimento, hanno le ottime capacità di analisi e di riflessione sugli eventi e la presenza di visibili e diversificate esperienze e opinioni. Una grande ricchezza culturale a far fronte al rischio di degenerazioni e dispersioni, causate dagli allontanamenti dei membri (a causa delle dinamiche di relazione oppositive preponderanti di insofferenza e logoramento) che possono causare anche la totale disgregazione del gruppo in sub-unità monodiche autoreferenziali

4. Gruppi emozionali/scanzonati: centrato sulle dinamiche relazionali in affinità della disponibilità e dell’integrazione questo tipo di gruppi si presenta con una forte capacità espressiva, buona intuitività e capacità di ottenere consenso e di coinvolgere nuovi partecipanti in una comune visone. Spensierato, festoso e allegro può anche diventare molto funzionale e ben organizzato, qualora esprima le sua capacità integrative. Il pericolo, per conto, è l’alto livello di delusione interna (dovuto a difficoltà pratiche e organizzative) oppure di evitamento tra i membri. 

5. Gruppi demotivati/pacifici: quasi non-gruppi, per esprimere a pieno le sue potenzialità in merito alla mediazione dei conflitti e alla complementarità, hanno necessariamente bisogno di un leader sufficientemente energico e direttivo che ne imposti l’azione. Il rischio è quello della disgregazione a seguito delle prevalenti dinamiche di relazione oppositive interne di fastidio e di logoramento

6. Gruppi sensibili/rassegnati: questo tipo di gruppo, anch’esso bisognoso più degli altri di una leadership netta e strutturata si differenzia però nel più alto livello di sensibilità interna ed esterna. Questi gruppi, percettivi e metodologicamente precisi, esprimono ottime capacità di sostegno dovute alla prevalenza di dinamiche relazionali di affinità di incontro e riconoscimento, per cui sono in grado di avere un altissimo rispetto dei valori  e delle scelte e azioni delle persone. Possono altresì essere profondamente percettivi e acuti nell’interpretazione delle situazioni, ma rischiano di auto-distruggersi nella scarsa stima di sé e nell’assenza di intraprendenza dovute alle opposizioni di incomprensione e di evitamento.

7. Gruppi uniti/invischiati: infine, questo tipo di gruppo si presenta con forti caratteristiche di familiarità e affettività interne, sviluppate a seguito della forte presenza di dinamiche di disponibilità e dialogicità, che lo rendo unito e affiliativo. Al contrario, è un gruppo che rischia di diventare settario con l’esterno e manipolatorio all’interno, in cui le libertà individuali e l’innovazione perdono rispetto e importanza per via di dinamiche interne in opposizione di equivoco e fastidio (tratto da Masini V., L’empatia nel gruppo di incontro, 1996).

[4] Per misurare le qualità relazionale dei gruppi sono state costruite alcune batterie di item relazionali, tra i quali: 1)  Quanti sono i suoi colleghi che ritiene professionalmente più competenti di lei?; 2) Di quanti dei suoi colleghi è stato a casa?; 3) Quanti dei suoi colleghi sono riusciti a capirla fino in fondo?; 4) Con quanti dei suoi colleghi ha litigato (almeno una volta ed anche molto tempo fa)?; 5) Con quanti dei suoi colleghi non vorrebbe collaborare gomito a gomito?; 6) Con quanti dei suoi colleghi lavora bene e volentieri?; 7) Di quanti dei suoi colleghi conosce almeno un familiare?; 8) Con quanti dei suoi colleghi si è incontrato qualche volta al di fuori dell’orario di lavoro?; 8) Di quanti dei suoi colleghi ha il numero di telefono o telefonino?; ecc. Item di questo tipo, scelti da un paniere di atteggiamenti relazionali servono a quantificare ben 14 relazioni di affinità o di opposizione.

[5] Le media di tali valori sono Integrazione = 21,63; fastidio = 9,60; mediazione = 17,35; incomprensione = 27,42; riconoscimento = 10,54;equivoco = 7,28; disponibilità = 10,75; insofferenza = 6,58; complementarità = 5,65; delusione =13,61; incontro = 21,26; logoramento = 13,55; dialogicità = 12,82; evitamento = 21,95.

[6] Cfr Masini V., Dalle Emozioni ai sentimenti (2000).

[7] L’utilizzo della media per comparare i due grafi è dato dalla sintonia tra i due test che è fondata sulla concordanza tra le relazioni individuate ed il tipo di gruppo. Nel modello di studio qui presentato il gruppo organizzato è caratterizzato da relazioni di integrazione - complementarità; quello motivato da incontro  - mediazione; indipendente = riconoscimento - dialogicità; ottimista = disponibilità – integrazione; pacifico = complementarità – mediazione; sensibile = incontro – riconoscimento; unito = disponibilità - dialogicità; Il gruppo rigido = insofferenza – incomprensione; agitato                = delusione – equivoco; diviso                = logoramento – insofferenza; scanzonato  = delusione – evitamento; demotivato = logoramento – fastidio; rassegnato = incomprensione – evitamento; invischiato = equivoco – fastidio. Lo schema è simmetrico a quello di Tabella 5.