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L’equilibrio comunicativo interreligioso

SINTESI DELL'INTERVENTO AL CONVEGNO IDENTITA' MULTICULTURALE E MULTIRELIGIOSA

                                                                                                                                     Vincenzo Masini

 

La ricerca sulle tipologie dei pellegrini del Giubileo [Cipolla, 2002, Cipriani, 2003], a cui lo scrivente ha partecipato [Masini, 2003] in Cipriani ha mostrato la possibilità di generalizzazione di tali idealtipi in altre esperienze di religiosità. Si è cercato di far intravedere alcune possibili piste di riflessione comuni, proprio per invogliare ad una indispensabile ricerca psicosociologica della religiosità studiosi appartenenti ad altre culture ed ad altre religioni. Le categorie idealtipiche individuate incentrate sulla teoria delle emozioni di base, sono apparse come un possibile canovaccio per consentire l’espressione di un linguaggio di ricerca con potenzialità interculturali.

In tutte le esperienze religiose mature appare comunque una teoria condivisibile, quella dell’equilibrio: non basta una sola forma di religiosità, occorre raggiungere un equilibrio tra tutte le forme, poiché l’eccesso di un modello di religiosità, non mitigato dalle altre, rende evidenti i limiti dell’umano e preclude all’armonia psicologica.

Da qui la necessità di costruire una teoria dell’equilibrio, in generale, e , nello specifico, una teoria dell’equilibrio nelle culture e nella comunicazione tra culture.

Un primo modello, pubblicato negli atti del Convegno “Dialogo interculturale e interreligioso” [Berti, DE Vita, 2003], rimanda alle principali metafore interculturali e  interreligiose, indicando nelle religioni tre Parabole sull’equilibrio: 1) La Parabola dell’Elefante, Jalâl ad-Dîn Rûmî riferisce della disputa intorno alla sua descrizione ed alla sua forma[1] da parte di chi di esso ha una visione parziale, senza la comprensione dell’articolazione delle parti. 2) Nel Sefer ha-Zòhar (Libro dello Splendore) è ripetutamente enunciata una teoria dell’equilibrio armonico di Dio[2] tra le Sue diverse manifestazioni o Sefiròth. 3) Nella prima frase detta da Gesù nel discorso della Montagna e cioè: Beati i poveri di spirito perché di essi è il Regno dei Cieli c’è un potente richiamo alle proprietà dell’anima attraverso l’accertamento stesso della sua esistenza.

La questione centrale è quali possano essere le forme d’equilibrio comunicativo da proporre come antidoto alle forme comunicative conflittuali.

 

 

Rif. Bibl.

  1. Cipolla C., Cipriani R., (cur), (2002), Pellegrini del Giubileo, Angeli, Milano
  2. Berti F., De Vita R., (2001), La religione nella società dell’incertezza, Angeli, Milano
  3. Masini V., (2003), Affinità e opposizioni, Per un agire comunicativo mirato all’intesa ed alla regressione del conflitto, Relazione presentata al Convegno Comunicazione e risoluzione dei conflitti, Università di Arezzo
  4. Masini V., (2003), Idealtipi di religiosità e dialogo interreligioso, Relazione presentata al Convegno Il Dialogo interculturale e interreligioso, Università di Siena

 



[1] “Alcuni indù avevano portato un elefante; lo esibirono in una casa oscura: Parecchie persone entrarono,a una a una, nel buoi, per vederlo. Non potendo vederlo con gli occhi, lo tastarono con la mano. Uno gli pose la mano sulla proboscide; disse: “Questa creatura è come un tubo per l’acqua”. Un altro gli toccò l’orecchio: esso parve simile a un ventaglio. Avendogli preso la zampa, un altro dichiarò: “L’elefante ha la forma di un pilastro”. Dopo avergli posato la mano sulla schiena, un altro affermò: “In verità questo elefante è tal quale un trono”. Del pari, ogni qual volta qualcuno sentiva una descrizione dell’elefante. La comprendeva in base alla parte che aveva toccato. Le loro affermazioni variavano secondo quanto avevano percepito: l’uno lo chiamava dâl, l’altro alif. Se ognuno di loro fosse stato munito di una candela, le loro parole non avrebbero differito…” ( da Eva de Vitray-Meyerovitch, I mistici dell’Islam, Guanda, Parma, 1978, p.19).

[2] “Le cause ultime del male sono ancora più profonde: esse si trovano – e questo per lo Zòhar è essenziale – in una delle manifestazioni o Sefiròth di Dio stesso. Le forze divine nel loro insieme formano un tutto armonico, e ognuna di queste forze o qualità è santa e buona finché resta unita alle altre, e in un vivo rapporto con esse. Ciò vale innanzitutto per la qualità della giustizia in senso stretto, per il giudizio e per la severità – in Dio e da Dio – che è la causa più profonda del male. La collera di Dio sta, come la sua mano sinistra, in intimo rapporto con la qualità della grazia e dell’amore – la sua mano destra. L’una non può manifestarsi facendo a meno dell’altra. Questa Sefirà della severità è quindi il grande “fuoco d’ira” che avvampa in Dio, ma è continuamente addolcito e frenato dalla grazia. Se però in uno sviluppo abnorme, ipertrofico, erompe all’esterno e infrange la sua unione con la grazia, allora sfugge con violenza dal mondo della divinità, e diventa male radicale, il mondo di Satana opposto a quello divino” (Scholem, cit. p. 243)

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